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Dalla crisi ex-Ilva al nuovo ospedale Galliera Tasca ripercorre il 2025 e fa gli auguri ai telespettatori
12 minuti e 49 secondi di lettura
di Tiziana Oberti

Un Natale nel segno del Giubileo della Speranza. A Primocanale l'arcivescovo di Genova Marco Tasca ripercorre l'anno vissuto dalla città. Dalla crisi ex-Ilva con l'appello per certezze occupazionali, all'aumento della povertà e il progetto RUT per famiglie lavoratrici in difficoltà, passando per l'impegno per la pace a Gaza con le parole in piazza davanti ai sostenitori della Flotilla, il sogno di un nuovo ospedale Galliera, per arrivare al ruolo crescente dei laici nelle parrocchie di fronte al calo vocazionale e l'ottimismo per quanto potrà fare Papa Leone XIV, sintesi di Chiesa nord-sud. E un messaggio finale chiaro a vedere il "bello" nel tempo imperfetto, con speranza come certezza per accogliere tutti attraverso il dialogo, guardando "l'albero che cresce e non la foresta che cade" nonostante le difficoltà che esistono oggi esattamente come nel periodo in cui nacque Gesù.

Monsignor Marco Tasca, ripercorrendo il 2025, che Natale è questo per Genova?

Per Genova è un Natale da inserirsi, come credente, nel cammino che abbiamo fatto quest'anno di Giubileo. Un anno bellissimo, con Papa Francesco che ci ha dato un tema che è la speranza. La speranza per noi credenti è certamente il vedere con ottimismo, il vedere il mezzo bicchiere pieno che sarebbe già un grande regalo che facciamo oggi a questo mondo. Ma per noi credenti è una sicurezza, una certezza, una roccia sulla quale si pone la nostra speranza che è il Signore Gesù. Che cosa vuol dire? Il Signore Gesù è presente in questa storia, sta camminando con noi a suo modo. Ed è questa la bellezza del cristianesimo, che ci chiede occhi nuovi, ci chiede qualcosa di nuovo in noi per poter cogliere la presenza del Signore Gesù nella nostra storia. E anche la nostra città, segnata da bellezze, da fatiche, da sogni, si inserisce in questo cammino che per noi credenti è fondamentale, ed è la bellezza e la certezza che il Signore cammina con noi.

Il lavoro è un tema centrale, in particolare per la Diocesi di Genova, con anche il ruolo unico dei capellani del lavoro. In questo fine anno, in particolare la crisi dell'ex Ilva con le manifestazioni, le proteste di piazza ma non solo. Questa situazione quanto la preoccupa e qual è il suo auspicio?

La prima cosa che vorrei dire riguardo a questa realtà che mi preoccupa, ma che ci preoccupa tanto anche come Diocesi di Genova e di Tortona, è che è stato bellissimo il poter condividere un cammino insieme per dire con chiarezza che su questa realtà sentiamo noi Vescovi la preoccupazione molto, molto forte. E quello che chiediamo è delle certezze, delle certezze perché ci possa essere davvero un cammino sereno per tutte le persone che in qualche maniera hanno lì il loro lavoro. Quindi il tema dell'ex Ilva, ma anche di altre realtà della nostra città, richiama al fatto che questi uomini e donne chiedono risposte, chiedono risposte certe. E credo che le istituzioni hanno il dovere, hanno il dovere di dare risposte certe che diano effettivamente un futuro. Quanto importante è sentire che il mio lavoro avrà e ha un futuro. Non è un punto di domanda senza fine, ha un futuro. Ed è questo che credo che come Chiese di Tortona e di Genova cerchiamo di portare avanti. Avere quindi delle risposte per non sentirsi diciamo in mezzo ad un ingranaggio.

C'è qui anche un legame con la dignità della persona.

Certamente il lavoro non è un accessorio o non è il 27 o il giorno in cui arriva lo stipendio, è la dignità.

E per l'ex Ilva che cosa si augura?

Certamente il lavoro non è un accessorio o non è il 27 o il giorno in cui arriva lo stipendio, è la dignità. Cioè il sapere che nella mia vita io ho davvero il piacere di essere utile alla società, certamente con il mio lavoro, con la mia competenza, con la mia professionalità. Ma questo aiuta me e la mia famiglia a vivere una vita serena, a vivere una vita che ogni giorno mi dà sempre più la gioia di vivere, mi dà la gioia di pensare al futuro mio e dei miei figli, di tutto quello che sento vero e bello per me. E credo che sia questo il bel regalo che possiamo fare in quest'anno. Io mi auguro insieme anche al Vescovo di Tortona che i centri di produzione del Nord continuino. Noi abbiamo il diritto e il dovere di continuare. Credo che siano le istituzioni che abbiano il dovere di dare le risposte, soprattutto su questa realtà, come far continuare i centri di produzione che abbiamo nel Nord.

Sappiamo che la povertà è in aumento, tante sono le famiglie in difficoltà, soprattutto giovani, tanta la disoccupazione. Che cosa fa la Chiesa? Lei ha un po' quella percezione che molto spesso il grande lavoro delle parrocchie, dei centri d'ascolto non venga recepito dalle persone? C'è un po' quasi timore a dirlo?

La mia impressione è che noi abbiamo a Genova una grandissima, bellissima, favolosa forza che è il volontariato e davvero la Chiesa è in prima linea su questo e di questo io sono veramente molto, molto, molto felice. Certo, questo deve mettersi insieme a leggere le varie povertà che oramai stiamo vivendo, penso alla povertà abitativa, penso alla povertà sanitaria, penso alla povertà, chiamiamola così, di chi ha un lavoro ma non arriva alla fine del mese. La nostra Chiesa ha elaborato e inizia ora un cammino con il progetto RUT, che è proprio un progetto di attenzione alle famiglie che non arrivano alla fine del mese, e però hanno un lavoro, allora come mai queste famiglie non arrivano alla fine del mese?
Forse anche le istituzioni, qualche domanda dovrebbero farsela, è insieme però essere vicino a queste famiglie che a causa di questo disagio ne risente ovviamente tutta la famiglia, pensiamo al numero che è sempre più crescente di chi rinuncia alle cure perché non ha i soldi per poterle fare, o pensiamo alla solitudine dei nostri anziani, la nostra città è una delle più longeve, io preferisco dire longeve più che dire anziana perché è un dato di fatto, ci sono molti anziani quindi devo dire che c'è molta longevità, quanto è importante essere vicini e nelle nostre comunità parrocchiali davvero quanto si fa per essere vicino alle persone anziane?

Un 2025 che ha visto anche la Chiesa di Genova e la città di Genova molto vicina al dramma di Gaza: una veglia per la pace ma anche la sua presenza in piazza Matteotti parlando alla platea della Flotillia, e il suo intervento ha colpito molto, quasi come se la Chiesa per la prima volta desse un segnale visivo, anche se sappiamo che non è così. Che momento è stato quello per lei? E' stato sorpreso di vedere una città così impegnata e forse oggi un po' sorpreso di vedere un calo di attenzione?

Certamente la veglia di preghiera che abbiamo fatto in Cattedrale, una Cattedrale strapiena di gente anche fuori dalla Cattedrale, è un segno molto concreto che la gente vuole la pace, vuole la pace e tutto quello che sa di guerra, qualsiasi guerra si tratti e non è solo una guerra fatta di armi ma quante altre guerre più o meno subdole ci sono, alla nostra gente non piacciono, vuole la pace. E allora credo che sia un bel messaggio che è stato dato in Cattedrale quella sera a tutti quanti noi di dire che siamo chiamati ad essere artefici di pace, operatori di pace come il Signore Gesù ci chiede.
E certo essere presente anche in piazza ha significato che davvero se la pace ha un cammino da fare dobbiamo farlo insieme. E quindi il parlare di pace in quel contesto, credo che per me abbia significato di dire coraggio, forza, parliamo di pace. Adesso mi pare che sia totalmente disatteso il dramma che stanno vivendo a Gaza, una situazione climatologica pessima, nessuno pare che si prenda più cura di questi uomini, di queste donne, per noi credenti di questi fratelli, di queste sorelle. Non vorrei che fosse l'ennesimo fuoco di paglia che però alla fine non sta vicino a queste persone che stanno soffrendo.

Lei, Monsignore, è anche il Presidente dell'Ospedale Galliera, il 2026 sarà l'anno che vedrà la riforma sanitaria. Si è molto discusso, si è molto parlato sull'autonomia dell'ospedale: sarà quindi un ospedale che manterrà la sua autonomia? E sul nuovo ospedale che cosa può dire?

Intanto sul nuovo ospedale io credo che la prima cosa che vorrei dire è che sogno il nuovo ospedale, davvero io mi darò da fare con tutte le mie forze perché il nuovo ospedale divenga una realtà e questo è un diritto dei cittadini genovesi, è un diritto avere un ospedale nuovo, dove davvero si possa vedere e si possa vivere meglio, non tanto la professionalità che è molto alta, non tanto l'accoglienza molto bella che si fa al Galliera, quanto una nuova struttura e credo che la nuova legge regionale che ci vede certamente che vogliamo camminare insieme, tenendo conto dell'autonomia che viene dalla storia del Galliera. Quante volte io all'inizio, appena venuto a Genova, dicevo vado dalla duchessa e facevo fatica, forse non lo chiederò informazioni, poi ho scoperto che cosa significa, c'è un attaccamento, un senso di appartenenza bellissimo e credo che io come presidente ho il dovere di mantenere questo.

Le vocazioni della Chiesa non sono alte ormai da molti anni e allora sempre di più entrano i laici. Nelle parrocchie, ci sono anche dei progetti che la Diocesi sta portando avanti quali?

Sì, la mancanza di vocazioni o il venire meno di vocazioni è una cosa che riguarda il nord del mondo, il sud del mondo da questo punto di vista non ha proprio nessun problema, anzi, nei miei anni che ho visitato come superiore generale varie realtà dell'Asia, dell'Africa, dell'America Latina, c'era solo da ringraziare il Signore per il numero di giovani che si impegnavano nella vita religiosa e nella vita presbiterale. E quello che stiamo facendo, ma non solo noi ovviamente, nella nostra Chiesa di Genova ma in tante altre Chiese, è quello di riconoscere che quello che motiva l'evangelizzazione, e questo è il primo tema della mia lettera pastorale, non è tanto l'essere presbiteri religiosi o religiose, quanto l'essere battezzati. Allora tutti i battezzati devono sentirsi con gioia impegnati, con soddisfazione impegnati nell'evangelizzazione. Certo, questo non vuol dire che la figura del presbitero divenga meno, venga scalzata, assolutamente no, ma tutti impegnati in questo cammino. E allora anche la nascita in diocesi delle fraternità di parrocchie significa proprio questo, è il mettere insieme varie comunità cristiane con un'équipe che insieme ai presbiteri, ai sacerdoti, lavorino per servire quelle zone, quelle realtà. Quindi non è stato mettere insieme numericamente le parrocchie, no, è costruire un'équipe, in una di queste fraternità di parrocchie si parla di team pastorale, veramente questo, costruire un team e oggi lavorare insieme è davvero una grande sfida. Ma credo che sia la bellezza della nostra Chiesa o delle Chiese che vogliono camminare.
E certamente anche il discorso dell'Europa con la diminuzione dei presbiteri religiosi e religiose va di pari passo, io penso al cammino che sta facendo la Chiesa francese in cui i battesimi dei giovani adulti stanno crescendo in maniera veramente molto bella. Vuol dire che c'è una ricerca e noi siamo chiamati a intercettare questa ricerca dei giovani adulti, a intercettarla perché c'è e siamo chiamati a fare questo. Anche perché sennò poi queste chiese le chiudiamo, questo poi è il punto, o si accetta questa nuova modalità oppure, perché so che c'è un po' di resistenza, però questo è quanto.

Il 2025 è stato anche l'anno che ha visto la morte di Papa Francesco e il nuovo pontefice Papa Leone, secondo lei che cosa porterà di nuovo nella Chiesa, proprio anche preso dai suoi viaggi, dalla vicinanza, dal suo essere missionario?

Papa Leone porterà la sintesi tra due esperienze bellissime. L'esperienza di una Chiesa del nord, del nord del mondo, della Chiesa degli Stati Uniti, di un ordine quello degli Agostiniani, un bellissimo ordine che cammina molto bene, che dà un grosso apporto alla Chiesa e metterà insieme la sua esperienza di missione nell'America del Sud. È una grande grazia che questo uomo, che questo religioso sacerdote vescovo, adesso Papa, possa fare sintesi di questo e sarà un grande dono per tutta la Chiesa, metterà insieme una grande storia e metterà insieme una Chiesa in continua crescita. Quindi con continui stimoli per noi, Chiesa del nord del mondo, continui stimoli a farci delle domande, a interrogarci come annunciare oggi noi, nel nord del mondo, la bellezza del Vangelo.

Natale è tempo di speranza, Padre Marco ma è difficile in questi tempi. Prima parlavamo della difficoltà del lavoro, della povertà che aumenta, delle guerre nel mondo. Abbiamo parlato di Gaza, ma ovviamente non c'è solo Gaza. E allora qual è il messaggio che questo bambino porta ancora una volta quest'anno?

Il bambino Gesù, che vediamo alle nostre spalle, non è nato in un periodo bellissimo della storia del mondo, per niente, in cui tutte le cose andavano bene, in cui tutto era rose e fiori, in cui tutti si volevano bene. Non dimentichiamo che il popolo ebreo era sotto il dominio romano. Allora, se Gesù è nato in un tempo non perfetto, vuol dire che anche noi, in questo nostro tempo, che è non perfetto, siamo chiamati a cogliere davvero le grandi, belle cose che ci sono. E allora l'augurio che io faccio a tutti coloro che ci stanno guardando è di vedere il bello. Si dice sempre che fa più rumore una foresta che cade di un albero che cresce. Eppure siamo chiamati a vedere quell'albero che cresce. E ne abbiamo tanti. Ne abbiamo tanti. Il bambino Gesù, certamente, se ci mettiamo nelle sue mani, ci aiuterà a vedere tutta la bellezza di questo nostro tempo e di questa nostra vita.

Tante persone non si sentono accolte, non si sentono riconosciute. La Chiesa in questo ha fatto delle aperture, c'è poi anche tutto il discorso della donna all'interno della Chiesa. Lei quando gira, quando incontra le persone, le capita di parlare con persone che non si sentono riconosciute dalla Chiesa? Cosa risponde loro?

La vera risposta da dare è quella parliamone, cioè dare risposte teoriche si può essere interessante, ma il fatto mettiamoci a parlarne, conosciamoci meglio, conosciamo meglio i desideri che stanno in te e che stanno in me. Credo che sia questo il metodo che la Chiesa ci insegna da secoli per dire la verità, niente di nuovo, ma credo che sia il bello del conoscerci per riuscire poi insieme a trovare delle risposte a queste domande che sono complesse, che hanno tutto un background anche teologico, ma quanto è importante che per noi due persone ci troviamo insieme, ne parliamo insieme, discutiamo insieme. Credo che sia questo il più bel regalo che possiamo farci di fronte alle domande serie e profonde che tanta gente si fa.

Le lascio la telecamera per gli auguri ai nostri telespettatori per questo Natale.

Ancora grazie per questa possibilità di entrare nelle vostre case, nelle vostre case, dove ci sono gioie, dolori, fatiche e speranze. Ecco l'augurio che vi faccio è di cogliere sempre più la bellezza di una speranza che ci aiuta anche a capire e forse a leggere meglio i dolori. E la speranza è una certezza davvero che insieme potremo affrontare anche tutte le difficoltà che ogni giorno la vita ci pone davanti. Il Signore Gesù ci ha detto che vuole che abbiamo una vita piena, una vita abbondante, lo dice nel Vangelo. È con questo augurio che mi unisco alle vostre famiglie in questi giorni di Natale, in questi giorni di festività e in questa cena di averlo.

L'arcivescovo di Genova Marco TascaL'augurio è quello di vedere il "bello" nel tempo imperfetto come quello dove nacque Gesù

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