GENOVA -"Roberto era una persona mite, buona, finita in galera dal 26 giugno per cose da poco, era uno spirito libero e tale è voluto rimanere nonostante la famiglia, la sorella e il cognato tentassero di riportarlo a casa".
A parlare è don Paolo, cappellano del carcere di Marassi, che ricorda: "Roberto si accompagnava con il coro della Maddalena, che poi ha organizzato le esequie insieme a Sant'Egidio. Roberto ha avuto una fine sventurata, ma come ho detto durante la messa cerchiamo di far vincere il bene sul male, con tutte le forze possibili".
Il prete poi svela: "In carcere avevo parlato un paio di volte con Roberto, ma ci eravamo solo scambiato due chiacchiere. Non avevo avvertito che vivesse nella paura. Ho saputo solo dopo che c'era un detenuto che lo terrorizzava".
E alla domanda se quella cella fosse il posto giusto dove custodire una persona fragile come Roberto il cappellano risponde: "Non era il posto giusto, ne per uno nè tantomeno per l'altro, l'assassino, visto che conosco anche lui, sapevo che aveva dei problemi"
L'altro, Luca Gervasio, "una persona un po' disturbata" ricorda il cappellano.
Il prete infine sottolinea il sovraffollamento del carcere "perenne, siamo sempre sulle 700 presenze". Una situazione in cui è impossibile rieducare le persone: "Non abbiamo gli strumenti, non abbiamo opportunità di fornire casa o un lavoro" denuncia don Paolo.
IL COMMENTO
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