“Sa dove sono nato?” mi chiese la prima volta che lo incontrai per una intervista. Era il 1994. “A Lerma . Ha presente Lerma? E’ il paese che ha dato i natali a Moana Pozzi. Ho conosciuto bene i suoi nonni e i genitori: una bravissima famiglia, tutta gente lavoratrice e anche di sinistra”. Flavio Repetto era sorprendente nella vita, nel lavoro di imprenditore, anche nelle interviste con un giornalista che era andato a cercarlo per chiedergli un suo punto di vista sull’”isolamento di Genova”. Trent’anni fa la solita questione genovese dell’isolamento. A stuzzicarlo sul sindaco professore Marco Doria e sui rapporti con i comunisti e i democristiani ormai al capolinea.
Intraprendente fin da giovanissimo, dopo varie esperienze aveva inventato un’azienda vinicola che, però, andava avanti con sofferenza. “Quando si andava a vendere il vino bisognava cominciare a spiegare dove era Lerma. Il concorrente magari era di Canelli o di Dogliani e non aveva bisogno di fare queste presentazioni. Partivo con svantaggio”:
Aveva allora inventato la ristorazione collettiva, all’inizio degli anni Sessanta. Aveva capito che la fornitura di pasti caldi ai grandi complessi industriali poteva diventare una carta vincente. Nasce la Generale Ristorazione che dà da mangiare a numerose aziende. “Li servivo a tavola questi imprenditori” mi raccontò sorridendo e sornione.
Provavo a punzecchiarlo proprio sugli imprenditori della città. “Vede si può essere grandi in filosofia , grandi in pittura, nella musica e, magari, non necessariamente grandi in imprenditoria. Credo che gli eredi di alcune grandi famiglie vivessero l’aspetto imprenditoriale un po’ fuori dal tempo. Non dimentichiamoci che cosa è successo negli anni Settanta alle imprese: anni che hanno portato alla ribalta una delle componenti fondamentale delle imprese, il lavoro che, fino alla metà degli anni Sessanta era un fattore della produzione di scarsa rilevanza sotto il profilo economico. Quindi i conti delle aziende in quegli anni hanno subito un’autentica rivoluzione”.
Mi raccontò la decisione di andare a Novi con i suoi grandi marchi dolciari. “Ho fatto di tutto per restare a Genova per non essere costretto a portare via i grandi marchi, la Elah da Pegli o la Dufour da Cornigliano. Dietro queste grandi fabbriche c’era una luna storia di persone”.
Era un uomo legato ai suoi dipendenti. Per davvero, non soltanto a parole come tanti.
“Quando sono andato a Novi per installare il nuovo stabilimento ho raccontato al sindaco e ai sindacati quello che avevo detto al sindaco di Genova che era Cerofolini: voglio restare qui , realizzare un complesso integrato in Valpolcevera. Era l’ottobre del 1983…”.
E loro che cose le hanno detto? Gli chiesi.
“Che mi avrebbero dato una risposta a Natale. Ma non avevano precisato l’anno. Natale, ma di quando? Insomma non aveva mancato di parola, ma…”.
Aveva appena acquisito la maggioranza della casa editrice Marietti.
“Dolci e letteratura?” lo provocai.
“Dicono che Lerma sia un paese di cultura e di miseria, pieno di persone che sapevano, ma mangiavano poco. Lerma viveva di un’economia che assicurava appena l’essenziale, ma aveva una vivacissima Società Filarmonica con relativa compagnia filodrammatica. C’era l’humus. La Marietti è nata con la convinzione che la cultura è un elemento di coesione per una città. Era un bel nome, vi partecipavano bei nomi e quando sono stato invitato non ho fatto difficoltà. “.
Era sindaco Marco Doria.
“Per me è stata una piacevolissima sorpresa in questa città che mantiene cose preziose, custodite in piccoli scrigni che bisogna andare a individuare. Nessuno viene fuori. Doria lo conoscevo di vista, credo sia un uomo davvero prezioso per Genova. Un gentiluomo, un grande e autentico gentiluomo”.
Lei va d’accordo anche con i comunisti, insistetti?
“Io sono circondato d’affetto…se lei pensa che dal 1985 Ciriaco De Mita attraverso Filippo Peschiera aveva fatto una pressione perché mi presentassi capolista nelle elezioni per il sindaco di Genova, vuol dire che anche De Mita mi voleva bene! Vede, io il bene non lo rifiuto. Ho avuto la fortuna di avere amici che sono cresciuti nel mondo politico e siccome anche il mondo politico è fatto di uomini, allora l’affetto si traduce nel nome e cognome di persone che mi vogliono bene e che sono democristiani, comunisti o altro”.
Aveva una idea molto precisa della figura dell’imprenditore.
“Deve essere coraggioso, ma anche attento, ottimista, prudente perché non è soltanto in gioco il suo capitale, sono in gioco centinaia di famiglie….”
Forse non si riesce a fare l’imprenditore a Genova?
“Io ho realizzato un’opera a Novi perché qui non sono stato in gradi di realizzarla”.
Un bel terno al lotto per quel territorio al quale Flavio Repetto è rimasto legato fino all’ultimo. Non per convenienza, ma perché credeva davvero in tutto quello che faceva, fosse impresa, cultura o azione sociale.
IL COMMENTO
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