Cronaca

Ogni giorno fra i caselli di Aeroporto e di Genova Ovest transitavano 60 mila veicoli che permettevano di incassare introiti per 30 mila euro, basta moltiplicare la cifra per un anno per capire a quanto avrebbe dovuto rinunciare Aspi in caso di chiusura
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GENOVA -Autostrade per l'Italia (e di conseguenza i soci di Atlantia) chiudendo ponte Morandi per effettuare i lavori di messa in sicurezza della pila 9 avrebbe perso oltre 10 milioni di euro all'anno.

Lo si evince moltiplicando il costo del pedaggio, circa 50 centesimi, che erano costretti a pagare gli automobilisti che percorrevano il tratto fra i caselli di Aeroporto e di Genova Ovest, per i 60 mila veicoli che transitavano in media ogni giorno sul viadotto, ossia 30 mila euro al giorno, cifra che se moltiplicata per 365 giorni all'anno, al netto delle festività, garantiva oltre un milione di euro ogni anno, la cifra a cui Autostrade per l'Italia avrebbe dovuto rinunciare.

Proprio in base a questa semplice contabilità i magistrati titolari delle indagini dissero che Autostrade non aveva svolto i lavori di messa in sicurezza del viadotto Polcevera nonostante i tanti allarmi sull'ammaloramento della struttura per garantire maggiori dividendi ai soci della holding che faceva capo alla famiglia Benetton.

Nelle carte dell'inchiesta svolta dagli investigatori della guardia di finanza del Primo Gruppo Genova che ha permesso di portare sul banco degli imputati 58 persone è emerso anche che in media autostrade per la manutenzione di ponte Morandi spendeva circa 22 mila euro all'anno, una inezia, come quasi la stessa cifra che si spende per rifare il bagno di un'abitazione a fronte di dividendi di milioni, "si spendeva più per rifare i guardrail che per la sicurezza di chi transitava sul ponte" si sono lasciati sfuggire gli inquirenti.
Il pm Terrile durante la sua lunga e dettagliata esposizione nell'udienza preliminare era arrivato a dire che per Autostrade "non era il budget che doveva adeguarsi alle esigenze di sicurezza, ma erano le esigenze di sicurezza che dovevano adeguarsi al budget".

Impressionati e concordanti sulla quasi inesistente manutenzione del ponte tutti i principali periti e consulenti, ingegneri come Tubaro, perito del Gip, e Pier Giorgio Malerba e Renato Buratti, consulenti dei pm Terrile, Cotugno e Airoldi, che hanno concordato sulla scarsa attenzione dei vertici di Aspi e di Spea alle condizioni della pila 9, causa del crollo, nonostante si fosse intervenuto anni prima sulla 11 e sulla 10 perché fatiscenti.

Malerba e Buratti in qualità di consulenti del magistrati iniziarono a indagare sulle cause del disastro il 17 agosto del 2018, tre giorni dopo il crollo, quando ancora non erano state trovate le ultime due vittime che lavoravano nel capannone dell'Amiu. E hanno ancora negli occhi Paola Vicini, la mamma di Mirco, l'ultimo corpo rinvenuto, che abbraccia in lacrime il cane dei soccorritori che aveva permesso di trovare il figlio sotto le macerie.

I due consulenti, entrambi ingegneri molto esperti, il primo docente a Milano, il secondo ingegnere civile a Genova dove si è occupato di numerose frane, fra cui quella di via fratelli Dagnino a Pegli e via Montaldo, a Staglieno, hanno raccontato che la cosa più impressionante quando arrivarono nel greto del Polcevera dopo il crollo - oltre al numero delle vittime - fu "la dimensioni delle macerie che erano alte 90 metri, come un grattacielo di trenta piani, un gigantesco gioco del Shangai che faceva paura perchè la struttura era collassata su sè stessa e nei primi giorni non si sapeva quanto fossero precarie le parti non crollate".

Malerba e Buratti sono stati sentiti dal collegio dei giudici, Lepri, Polidori e Baldini nelle ultime udienze del processo in corso nella tensostruttura del tribunale di Genova che si è fermato martedì scorso e riprenderà oggi alle 10 con l'audizione di un altro tecnico, l'ingegnere Paolo Rugarli, consulente delle parti civili Bellasio e Possetti.

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