Cronaca

Sussiste "il ragionevole dubbio" che il più piccolo, Simone, non abbia commesso il delitto e per questo "va assolto per non avere commesso il fatto". Ecco la motivazione della sentenza
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GENOVA - A uccidere Pasquale Scalamandrè fu solo il figlio più grande Alessio. Sussiste "il ragionevole dubbio" che il più piccolo, Simone, non abbia commesso il delitto e per questo "va assolto per non avere commesso il fatto". È il ragionamento seguito dai giudici della corte di appello di Genova nelle motivazioni della sentenza con cui a novembre hanno assolto il giovane e confermato invece la condanna a 21 anni per Alessio.

Omicidio Scalamandrè: assolto Simone, confermati 21 anni per Alessio - LA NOTIZIA

I due erano stati condannati in primo grado per il delitto avvenuto il 10 agosto 2020: secondo i giudici di secondo grado si è trattato di un omicidio "d'impeto" commesso solo da Alessio e non può "ricorrere la circostanza attenuante di avere agito perché provocato dalla vittima". Quel giorno "alla rinnovata richiesta del padre di modificare la denuncia - si legge - Alessio reagì con inaudita e spropositata aggressività". Simone colpì a mani nude il padre ma le ferite mortale vennero date da Alessio. "Sembra più verosimile - è scritto nella sentenza - che il più piccolo abbia assistito attonito alla mattanza".

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L'omicidio era avvenuto nel quartiere San Biagio, nella periferia di Genova. La vittima era indagata per maltrattamenti nei confronti della madre dei ragazzi e quel giorno era andato a casa per chiedere al maggiore di ritirare le accuse nei suoi confronti per il processo che si sarebbe svolto da lì a breve. L'uomo era stato aggredito dai figli e colpito molte volte con un mattarello e altri oggetti. Alessio e Simone Scalamandrè erano imputati di omicidio volontario in concorso, aggravato dal vincolo di parentela.

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La Corte d'assise, presieduta dal giudice Massimo Cusatti, nel calcolo della condanna a 14 anni per il più piccolo dei due fratelli aveva applicato l'articolo 114 del codice penale che fa riferimento al "contributo minimo" dell'imputato nella commissione di un reato in concorso, una delle poche attenuanti che consente di abbattere sensibilmente la pena, come aveva chiesto l'avvocato di Simone, Nadia Calafato.

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