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La bella mostra sugli anni ’60 in corso al teatro del Falcone, organizzata dallo staff di Palazzo Reale, ci obbliga a rileggere quel decennio di enormi cambiamenti. Per esempio l’inizio di un progetto di recupero della vecchia città, che ancora nessuno chiamava centro storico. Ci furono prima le distruzioni colpevoli di via Madre di Dio e Pammatone, ma alla fine del decennio si cominciò a ragionare sul recupero della città dei vicoli, così ricca di storia e arte e di vita vera. Sarà poi la giunta di sinistra guidata da Fulvio Cerofolini con all’Urbanistica l’assessore Mario Bessone a inventare l’operazione di restauro che partendo dal fantastico progetto di Ignazio Gardella, Grossi-Bianchi e Edoardo Benvenuto con lo spostamento di Architettura a Sarzano avrebbe messo le mani a Pré con De Carlo, al Carmine con i Barbiano di Belgiojoso, al Molo con Piano e a Borgo Incrociati con Fera.


L’obiettivo era dare una nuova vita alla città antichissima che da quel momento si chiamò Centro Storico. Vita voleva dire riportare abitanti, quindi restaurare case e palazzi, ma anche riaccendere un commercio che facesse girare per i vicoli i giovani che li avevano abbandonati.
Da qui nacque la “movida” genovese, molto caratteristica, influenzata da cultura araba, africana, asiatica, una movida internazionale, aperta, poliglotta. Aprirono piccole botteghe artigiane e piccoli locali e trattorie. I giovani si appropriarono della città vecchia, andarono anche ad abitarla.


Cambiò anche la malavita. Da luogo di prostituzione e contrabbando, ahimé divenne luogo di spaccio e violenza.
E ora tra i temi che vengono dibattuti nella campagna elettorale mi pare che uno dei più interessanti e strategici per il futuro sia proprio quello del nuovo recupero del centro storico che si vorrebbe realizzare anche con uno spostamento della “movida”. Gli abitanti dei caruggi non ne possono più di notti insonni e insicurezza. Chiedono un intervento forte e hanno assolutamente ragione. Ma la “movida” è anche vita. Quindi bisogna stare molto attenti a cancellarla. Una notte senza vita potrebbe diventare pericolosa per la città dei vicoli. Così come spostare la “movida” da un’altra parte, in un’altra zona della città potrebbe finire con lo spostamento del problema da un luogo all’altro.
D’estate il problema in parte è attenuato dallo spostamento della “movida” verso il porto antico. Quindi, forse, sarebbe da lavorare su una “movida” diversa, intanto molto più controllata dalle forze dell’ordine senza arrivare alla militarizzazione dei vicoli, ma con una presenza costante delle zone più a rischio. Poi con una riqualificazione dei locali. Chiedersi, cioè, che cosa ci deve stare nella città antica. Forse non proprio tutto. Infine, con una sorta di “codice di comportamento” con orari definiti che consentano agli abitanti di riacquistare il sacrosanto diritto al riposo notturno.


Insomma, credo che un bel confronto aperto e con l’apporto di specialisti potrebbe essere molto interessante.