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Solo l’annuncio di un nome servirà a presentare una Genova diversa da quella che vuole Bucci
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Mi ha dato una certa emozione, in occasione dell’intervista a Marco Bucci, rientrare dopo vent’anni nello studio di rappresentanza dei sindaci a Palazzo Tursi. Emozione perché l’ultima volta che mi sono seduto davanti alla scrivania di un sindaco in quella magnifica camera era il 2012, sindaca Marta Vincenzi del Pd. Lì, avevo passato ore da cronista politico prima del Lavoro, poi del Giornale di Montanelli che doveva disturbare “i rossi”, poi per decenni al Decimonono con altri sindaci indimenticabili a cominciare dal socialista Fulvio Cerofolini, per passare a Burlando, a Merlo, Campart e Sansa e stazionare per dieci anni con Beppe Pericu, un colosso.

Era l’ufficio arricchito storicamente dalla Tavola della Valpolcevera, lamina antica che riporta una sentenza emessa da due Magistrati romani nel 117 a.C. sulla controversia tra due popolazioni liguri circa l’utilizzo dei terreni ad esse affidate. In un cassetto la lettera con la resa ai partigiani del generale Meinhold. Davanti alla tavola stazionò con grande curiosità la regina Elisabetta con il consorte. Sul tavolo Impero un potente segretario socialista, deluso dal risultato elettorale del suo partito spense il suo fumante sigaro evitando il portacenere. Finalmente c’è voluto Bucci per intitolare un pezzo del centro di Genova, davanti al teatro Carlo Felice proprio al sindaco che è riuscito a ricostruirlo dopo una quarantina di anni (1983-1989), cioè Cerofolini, il sindaco tranviere, il sindaco a cui la città deve l’avvio del cambiamento urbanistico, con il grande piano di recupero del centro storico, con il concorso internazionale per ricostruire il teatro dell’Opera, con il recupero a la restituzione alla città di Palazzo Ducale (inizio lavori nel 1980 ottimo progetto Spalla). Attenti. Non fu tutto meraviglia quello che avvenne nel decennio di “giunta rossa” come l’avevano denominata i giornalisti. Ci furono alcuni invivibili “quartieri in collina”, quelli dalle cui finestre, secondo gli assessori di allora, anche i proletari avrebbero potuto vedere il mare come i ricchi di Albaro e ci furono altre ferite, ma in quei dieci anni a guida di sinistra la città disegnò il suo futuro, così come vent’anni prima i democristiani con Vittorio Pertusio la ricostruirono dopo le distruzione della guerra, con l’idea di fare una città moderna. Fecero cose grandi come l’acquedotto e la Sopraelevata e alcune orrende speculazioni.


Bene. Ho sentito dall’ assemblea del Pd, parlare di argomenti altissimi: europeismo, solidarietà, partecipazione. Spero che tutto questo si traduca in una lingua più concreta, perché i genovesi vogliono cose concrete, che si vedono che hanno un nome preciso: bus, fabbriche, ospedali pubblici, sicurezza, mercati, pulizia, parchi, scuole, collegamenti e gli altri temi reali aggiungeteli voi.


Tutte queste parole concrete dovranno essere spiegate da un uomo o donna, possibilmente di esperienza, possibilmente con il carisma necessario per guidare una grande città difficile. Altrimenti resteranno nuvole.


Bucci ha il vantaggio di avere narrato cose. Non so se riuscirà davvero a farle. Alcune temo proprio di no, ma non voglio perdere la speranza che i miei figli e nipoti possano andare a Milano in 50 minuti e soprattutto che i milanesi possano, in 50 minuti arrivare a Genova e portare nuovo lavoro. E che la raccolta della spazzatura sia efficiente e non debordino da cassonetti stracolmi sacchi, legni, vetri, scatole di cartone. E che nei caruggi si possa tornare a vivere senza paura. E nelle cosiddette periferie a abitare senza abbandono.
Un sindaco è una persona. Può piacere o meno. Toccherà a questa persona giocarsela fino in fondo.
Mi attendo dal Pd e dai suoi ipotetici alleati la spiegazione non fumosa di che città vogliono realizzare se riusciranno a battere Bucci. Attendo confronti a due fra i candidati. Non mi interessa l’evocazione scolastica di una “città europea” (boh?), ma pretendo una città pulita, connessa, accogliente. Con queste caratteristiche sarà immediatamente una “città europea”, una “città solidale”. E soprattutto una città dove i ragazzi non siano costretti a scappare. Questa sarebbe la deriva più triste.