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di Franco Manzitti

Che sia colpa di Giovanni Battista Perasso, detto Balilla, quel ragazzino che nel 1746, nel quartiere di Pretoria, lanciò quel sasso e scatenò con quel gesto la ribellione contro gli austriaci, uno degli eserciti che stavano occupando Genova? Quel “Che l’inse?”, grido dalle diverse interpretazioni , ma facilmente traducibile in: “Chi incomincia?”, è rimasto come un marchio di fabbrica zeneise.
Chi incomincia, spesso se non sempre, incomincia a Genova.

Al di là delle diverse interpretazioni di quella vicenda e di quel personaggio, sul quale le ricostruzioni sono molteplici, è vero che da allora in avanti e fino ai nostri giorni, Genova ha sempre una specie di primogenitura quando “parte” qualcosa “contro”, sia contro il governo in carica, sia contro un suo provvedimento, sia contro un fatto importante accaduto nel mondo, gli esperimenti nucleari negli anni Cinquanta, la guerra in Vietnam negli anni Sessanta-Settanta, il Sessantotto, le battaglie sindacali negli anni Ottanta e avanti così…..fino agli orrori in Palestina oggi che non sono solo quello, ma l’orrore complessivo che ci fa questo mondo sempre più armato, pieno di querre, la guerra mondiale a pezzi che evocava papa Francesco.

E anche oggi, che tutta l’Italia assiste allo sciopero generale e alle centinaia di cortei e al milione di persone in piazza per la tragedia della Palestina, la prima miccia è partita da qua.
Quei 50 mila in marcia verso il porto per spingere la Flottilla, dopo che erano state raccolte 500 tonnellate di aiuti, tra viveri, medicinali ed altro da portare al popolo palestinese, erano, in proporzione alle dimensione della città, il più importante ed anche cronologicamente, il primo corteo.

Banalmente e superficialmente, anche assistendo ai cortei di ieri, alle occupazioni delle stazioni, al blocco di Principe, che ha tagliato a metà la Liguria, si potrebbe concludere che questa primogenitura è spiegata dalla matrice di sinistra di Genova quanto meno della sua altalenante storia nel Dopoguerra.

Non a caso nel 1960 era stata Genova con i fatti del 30 giugno a far cadere il governo di Destra dell’onorevole Tambroni e un anno dopo, proprio nella stessa città, prima in Italia, si era insediato un governo cittadino, nel quale per la prima volta entrava in maggioranza il Partito Socialista, chiaramente di sinistra. E un decennio abbondante dopo, insieme a Torino e a Roma, ma un po’ prima di loro, la prima giunta rossa italiana era nata con Fulvio Cerofolini e Giorgio Doria a Genova. Qui non ribellioni, ma svolte politiche, nettamente a sinistra.

Tra queste mosse politiche di primogenitura e ancora in avanti nel tempo e negli spazi, quante volte la scintilla di proteste, cortei manifestazioni, sopratutto sindacali, portuali si accendeva a Genova, per trasmettersi poi in tutta Italia, sulle altre piazze magari anche più grandi delle nostre?

Quante volte abbiamo visto i camalli accendere il fuoco di rivolte, opposizioni, magari anche in dissidio dai partiti tradizionali il PCI, il PSI il PSIUP, le altre formazioni della sinistra più radicale? E quante più volte piazza De Ferrari piena è stata la prima a lanciare messaggi forti, a volte decisivi, a volte semplicemente di protesta. Come non ricordare che quella piazza e non solo perché tutte le strade intorno erano piene, con le sue 250 mila persone, che partecipavano ai funerali di Guido Rossa, disse no alle Brigate rosse e al loro equivoco ricatto, iniziando la sconfitta del terrorismo rosso, dopo anni di piombo devastanti? Anche le stesse Br erano nate praticamente a Genova e per di più in un ambiente della Chiesa.

Probabilmente bisogna girare agli storici e ai politologi la domanda se questa primogenitura molto costante di “rebeldia”, di “jacquerie”, per usare eleganti termini stranieri, dipenda da una matrice di sinistra. Ma fino a dove bisogna risalire nel tempo per capire?
Probabilmente anche ai secoli precedenti, quelli nei quali Genova aveva avuto nel Risorgimento primogeniture indiscutibili anche antisavoiarde: Giuseppe Mazzini era genovese e non era lui, per quanto poi cittadino spesso fuori dalla cinta cittadina, uno dei primi a contestare, a essere contro i Savoia, a favore di un’Italia non sotto quel giogo?

E da dove erano partite le note di “Fratelli d’Italia”, che suonavano nelle orecchie di chi cercava di difendere lo status quo contro il quale quella musica sarebbe diventata il nostro inno nazionale, se non da Goffredo Mameli, un genovese che sarebbe caduto in battaglia per fare l’Italia? Insomma la ricostruzione può essere lunga e complessa, “buona” per gli esperti di storia, non per noi semplici cronisti.
In questo momento queste domande ci servono a capire geneticamente perché ieri c’erano 45-50 mila persone in piazza a Genova (certamente non solo qua), creando disagi, spesso insopportabili, ma anche dando una dimensione di protesta forte, fortissima, al di là di tutte le sue interpretazioni.

Divisioni tra opinioni diverse, domande che vanno alla radice dei drammi di questi tempi: perché si dimostra per la Palestina e non per la Siria, non per l’Iran, non per la morte delle donne senza velo eccetera eccetera, seguendo i messaggi che Primocanale ha raccolto ieri nell’ennesima diretta, trasmessa per raccontare ai genovesi e ai liguri quello che succede.
In questo caso aggiungendo un’altra storia a quelle lunghe, storicamente ineccepibili, ma di diversa ragione, per le quali Genova si ribella, dimostra, protesta. Che l’inse?

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