
Non è la prima volta che succede e purtroppo non siamo convinti che sia l’ultima. Lo striscione di minacce e insulti nei confronti del nostro giornalista Michele Varì apparso ieri sera in gradinata Sud durante la gara Sampdoria - Carrarese fa ancora una volta emergere un tema sempre attuale quello delle intimidazioni a chi fa un lavoro che racconta la cronaca.
Fare il giornalista investigativo non è facile, specie quando si decide di avventurarsi nei terreni più fangosi e di illuminare gli angoli più bui dei diversi sistemi sociali e politici. Parlare di mafia, corruzione, reati finanziari e crimine organizzato ha un costo, spesso altissimo, per i professionisti dell’informazione.
Ma qui stiamo parlando di calcio. Cosa mai avrà scritto Michele per meritare uno striscione del genere? Per favore, non scherziamo e ritorniamo alle regole normali di civiltà.
È inquietante che il giornalismo, anche in un ambito apparentemente meno “pericoloso” come quello del calcio, venga percepito come una minaccia al punto da scatenare intimidazioni così plateali. Questo fatto ci ricorda che la libertà di stampa non è mai garantita una volta per tutte e che la cultura del confronto civile deve essere costantemente difesa.
Genova è una piazza abbastanza tranquilla ma non immune da episodi pesanti. Le due tifoserie negli anni si sono rese protagoniste di mille iniziative bellissime ma anche di alcune deplorevoli proprio nei confronti di giornalisti e non solo. Sarebbe auspicabile che la Sampdoria, come società, prendesse una posizione chiara e ferma, condannando l’episodio e che non facesse finta di nulla.
Primocanale intanto continuerà, come ha sempre fatto, a raccontare ogni cosa con la consueta obiettività seguendo i limiti e le regole della deontologia, con la professionalità che contraddistingue il lavoro di tutta la redazione.
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IL COMMENTO
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