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Ci sono parole che negli anni cambiano significato. Lo fanno con lentezza geologica, mutando insieme ai costumi e alla società. Ed arriva un momento in cui le ascoltiamo e ci accorgiamo che, no, non significano più quello che significavano anni fa. Una di queste parole è “povertà”, che oggi non ha lo stesso significato che le attribuivamo all’inizio del millennio. Non è qualcosa di cui ci accorgiamo così, camminando distrattamente per la strada: c’è bisogno di raffinare lo sguardo, di scrutare nelle case e nelle vite delle persone, di leggere tra le righe.

Forse un tempo tanti di noi confinavano la povertà in una dimensione lontana, come fosse qualcosa di altro da noi, distante. Era una cosa che riguardava altri continenti, altri quartieri, altre persone: il povero senza dimora all’angolo della strada, la signora immigrata che chiedeva l’elemosina davanti alla chiesa, il disoccupato. Ma oggi qualcosa è cambiato e la povertà si è insinuata nello spazio della normalità: in Liguria circa 53 mila famiglie – sette su 100 – vivono in stato di povertà con un aumento di quasi il 50% in quindici anni.

Un quarto dei liguri è a rischio di impoverimento ed esclusione sociale. Noi di Sant’Egidio ce ne accorgiamo ogni giorno, nei servizi che a Genova accolgono le persone che chiedono aiuto: alla mensa di via delle Fontane i pasti caldi sono passati dai 113.000 del 2022 ai 162.000 del 2023, con picchi di anche 800 persone servite in un giorno. Sono persone ferite, talvolta umiliate perché costrette a tornare a bussare alla nostra porta dopo essere faticosamente usciti dal circuito della solidarietà grazie a un lavoro e una casa. Ma anche persone che noi consideriamo "normali", e che, magari, ieri non riuscivano a far fronte alle spese straordinarie (come le cure odontoiatriche o la sostituzione della calderina), ma che oggi, con l’inflazione ancora alta e i costi delle bollette che non si sono abbassati, non riescono ad affrontare neanche le spese ordinarie e chiedono aiuto per l’affitto o le utenze domestiche.

La povertà si avvicina, pervade la società ed è sempre più un fenomeno multidimensionale: è la povertà alimentare, ma anche la povertà energetica – per cui a chiedere le coperte in regalo non sono solo i senza dimora, ma anche chi è costretto a tenere i termosifoni spenti – o quella sanitaria. E, se un tempo la povertà era collegata alla generazione più anziana, oggi riguarda soprattutto le famiglie con figli: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, in Italia l'incidenza della povertà assoluta tra i minorenni è diventata più alta che tra gli adulti e gli anziani. Un balzo terrificante: oggi oltre il 14% dei minorenni in Italia vive in povertà assoluta (un dato quadruplicato negli ultimi quindici anni) e, nella nostra Regione, un minore su cinque vive in povertà relativa. Nel periodo pre-Covid i bambini al di sotto dei dieci anni che venivano a bussare alla mensa con le loro famiglie erano tra i cinque e i sette al giorno. Attualmente ne serviamo anche sessanta in un pomeriggio.

In modo tutto paradossale per un Paese che ha bisogno di giovani, le famiglie che soffrono di più in Italia sono quelle con figli minorenni, specie se numerose e, se una famiglia è fragile, mettere al mondo dei figli è uno dei fattori che la espone di più al rischio povertà.

Se la povertà è cambiata, quindi, non possiamo di affrontarla con gli strumenti – politici e culturali – di ieri. Occorrono idee e politiche nuove, non ideologiche e non impigrite, animate da una intelligenza della realtà. Occorre che cambiamo anche noi, liberandoci da paure e pregiudizi e mettendoci in movimento, tutti, per tendere una mano a chi ha bisogno e per rispondere all’infragilimento generale della società con la solidarietà e l’impegno.

*Responsabile per la Liguria della Comunità di Sant'Egidio