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Sono passati più di cinquanta, sessanta anni, da quando una Genova in piena spinta di ricostruzione era la capitale italiana delle leadership imprenditoriali. Angelo Costa, il leggendario capo dell’impero di famiglia, era anche in contemporanea presidente nazionale di Confindustria e di Confitarma. In quegli anni quei ruoli avevano un grande peso in una Italia che ripartiva potentemente e nella quale, seppure tra grandi conflitti politico sindacali, c’era come una unanime unità di intenti. Il capo degli industriali e degli armatori aveva un confronto quotidiano con i partiti politici e con il sindacato. C’erano grandi nodi da sciogliere in un paese che si avviava al “miracolo italiano”, seguito alla ricostruzione.

Basta citare, per restare a Genova, il problema chiave della “autonomia funzionale” da concedere alle banchine dell’ Italsider, isolando nella gestione di tutto il porto il regime concesso alla grande fabbrica Iri, che era appena stata ricostruita e trasformata nella prima acciaieria a ciclo continuo in Europa.

Bastò una stretta di mano tra Angelo Costa e Giuseppe Di Vittorio, il durissimo, ma lungimirante segretario della Cgil, per risolvere i delicati problemi connessi a quella concessione.

Angelo Costa fu per due volte presidente di Confindustria subito dopo la guerra e all’inizio degli anni Sessanta e quel genovese con il taglio un po’ burbero e profonde convinzioni liberali in un quadro politico avviato al centro sinistra e al peso del Pci, era un vero spettacolo quando partecipava alle tribune politiche ingessate nell’unica rete Rai.

Accento genovese spiccato e idee precise, sbattute in faccia a interlocutori spesso spiazzati. Era il capo di Confindustria che parlava, ma in qualche modo c‘era anche Genova, e non solo per la cocina goviana, che faceva sentire il suo sentimento.

Tempi eroici che coincidevano anche con la potenza della città, dove gli armatori pullulavano, dove l’Iri cresceva, ma dove anche l’industria privata cavalcava la ricostruzione e il miracolo, dove la flotta di Stato, la Finmare e tutto il resto, concorrenti durissimi di Costa armatore, erano un colosso di navi e affari.

Ricordando quel tempo glorioso, nel quale si che Genova era internazionale e alla ribalta per il suo ruolo di guida esercitato attraverso grandi uomini (c’era anche Peppino Petrilli presidente dell’Iri e Giorgio Bo ministro delle Partecipazioni Statali così decisive nelle aziende Iri piantate a Genova) si può essere spinti a una ventata di ottimismo, legata all’attualità di questo tempo così diverso.

Se Tonino Gozzi, il capo di Duferco, grande imprenditore, presidente di Federacciai, ligure chiavarese, diventato uno dei leader industriali del Paese con la sua holding europea dei tanti business, ultimo, ma non certo unico, quello di Italbrokers, diventerà il presidente di Confindustria in primavera, quello spirito potrebbe tornare.

La coincidenza vuole che un altro genovese, Mario Zanetti, sia diventato presidente di Confitarma, scalando quel ruolo dalla sua posizione di amministratore delegato di Costa, una “firma” non a caso legata a quel passato glorioso e impegnativo.

E la coincidenza continua con la presidenza di Assarmatori, l’altra costola del sistema armatoriale, di Stefano Messina, un altro genovese con ruolo imprenditoriale e rappresentativo di primo sfoglio.
Sicuramente lo scenario, sia dell’industria che dell’armamento italiano sono ben diversi da quelli della epopea di Angelo Costa, scomparso nel 1976, lasciando un vuoto enorme nella sua azienda ma anche in Italia.

Laggiù eravamo alla rinascita della flotta italiana partita proprio da gente come Costa, Ernesto Fassio, i Grimaldi, Cameli e altri coraggiosi che andarono negli Usa a comprare le liberty per ricostruire navi distrutte dalla guerra.

Laggiù eravamo al boom dell’acciaio, che serviva a far crescere il paese uscendo dagli altoforni di Genova (Taranto sarebbe venuta dopo) e serviva a costruire tutto: dalle automobili ai frigoriferi, a tutti gli elettrodomestici del miracolo italiano nelle fabbriche che nascevano come funghi e ci trasformavano nel paese del più grande e veloce boom manifatturiero.

Oggi il trasporto navale è tanto mutato che Genova sta cercando di stare al passo costruendo la superdiga necessaria a ospitare le meganavi in viaggio per i mari e tra i continenti e il problema a terra è caricare i container in maniera veloce e trasportarli su ferrovie e autostrade con mille ritardi e inefficienze.

Oggi l’industria cerca, con qualsiasi governo insediato, una politica nazionale che ci salvi. Oggi il supercandidato Tonino Gozzi, partito da giovane socialista e professore universitario e diventato un grande leader, alza la voce quando può per lanciare Sos di salvataggio per una industria (non solo la sua di produttore e distributore di acciaio) che rischia di sparire dalla faccia del Belpaese.

Difficile prevedere se quella coincidenza di tre personaggi genovesi o comunque liguri (Gozzi è di Chiavari e ci tiene molto) si compia veramente con una bandiera piantata anche sopra il palazzo di Viale Astronomia a Roma negli uffici di Confindustria. Certo se si avvererà questo piccolo sogno natalizio di vecchi osservatori Genova avrà qualche chance in più di essere rappresentata, non solo, ma di contribuire a scelte importanti per la città, per la Liguria ma soprattutto per l’Italia. Nello spirito di Angelo Costa, che mai si è disperso, ma semmai merita di essere rilanciato.