Ma cosa sono quei quindici alberi-spinaci che hanno piazzato intorno alla statua di Guido Rossa e dintorni in Piccapietra, davanti alla sede della banca Passadore, dove viaggia uno dei cantieri più importanti di Genova-Centro? Che verde pubblico (o privato?) è quella fioritura stentata di presunti alberi in uno spiazzo-terra di nessuno, tra le vetrate spaccate dell’ex Rinascente, oramai defunta e i caroselli del traffico intorno a via Vernazza, nobilitata solo dal nome del suo cinquecentesco benefattore, Ettore, l’inventore, cinquecento anni fa, degli ospedali genovesi per gli incurabili?
Si può comprendere lo sforzo di cercare di aggiungere un po’ di verde nel centro “secco” della città e soprattutto in questa Piccapietra, che era il cuore pulsante della Genova anni Sessanta-Settanta, tra cinema, super bar Motta, l’attuale Moody, Rinascente, grandi firme commerciali, con alle spalle il grattacielo Italimpianti, dove regnavano i più grandi mercanti dell’azienda di Stato, come l’indimenticabile Lucien Sicouri. E dove ora si estende una landa un po’ triste, tra uffici giudiziari, imbocchi di autosilos, memorie di fasti decaduti, come appunto quelli della Rinascente pulsante e in mezzo quella piazza “morta” sopra il tetto dell’Autosilos, che si anima solo in questi giorni con il mercatino natalizio di San Nicola. Giusto allora aprire al verde, ma possibile che la scelta sia caduta solo su quegli “spinaci”, stecchetti di pochi metri, che non faranno mai ombra a nulla e semmai stuzzicheranno solo il monumento all’eroe Guido Rossa?
Se paragoniamo questa operazione restyling a quanto è recentemente avvenuto a Castelletto, dove sono stati potati drasticamente i pini marittimi della storica Spianata, cambiando look per chissà quanto tempo a uno dei luoghi cult della città, c’è da chiedersi quale sia la politica del verde di questa città sotto la regia del Comune. Forse si sono dimenticati la poesia di Giorgio Caproni che “consacra” per sempre l’ascensore pubblico che sale alla Spianata con versi indimenticabili: “Quando mi sarò deciso di andarci, in Paradiso, ci andrò con l’ascensore di Castelletto, nelle ore notturne, rubando un poco di tempo al mio riposo…”. In questo caso purtroppo in Paradiso ci sono andati con le loro seghe, le autoscale i giardinieri comunali a “tagliare”. Certamente sarà stata un’operazione necessaria, per impedire che le storiche fronde non si spezzassero per vecchiaia, cadendo sulla testa dei turisti sempre più numerosi che arrivano in coda sulla Spianata. Ma non c’era altra soluzione?
E in altre città, per esempio a Roma dove esistono migliaia di pini marittimi, quelli nobilitati dalla musica celestiale di Ottorino Respighi, come hanno fatto? D’altra parte questo dei pini a rischio sta diventando un vero tormento in una città che ne è così ricca e in tanti punti strategici. A partire da quelli di corso Andrea Podestà, già condannati a morte dal Comune e in attesa di una sentenza di appello, tra rivoluzioni di abitanti e mediazioni difficili del vice sindaco, avvocato Pietro Piciocchi. In attesa del rinverdimento a tappeto, che viene ogni tanto annunciato un po’ ovunque e in particolare in piazzale Kennedy, dove è attesa addirittura una foresta, le battaglie si combattono zona per zona e un po’ improvvisamente. Con le motoseghe in Paradiso e i diktat di Carignano. Con le prime palme impiantate nella nuova area del Waterfront di Levante, tra canali d’acqua, padiglioni e nuove residenze. Il rischio è, però, che la soluzione, qua e là, siano gli spinaci di Piccapietra, all’ombra dei quali non si può riparare neppure una formica.
IL COMMENTO
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