Non è mica la prima volta. All'inizio degli anni '90 sul tavolo c'erano cash, come dicono oggi i grandi uomini d'affari, 600 miliardi pronti all'uso. E parliamo di miliardi di lire, che l'euro sarebbe arrivato quasi dieci anni dopo. Erano già stati accantonati, uno sull'altro, e avevano la loro destinazione: la costruzione della famosa Bretella Rivarolo-Voltri, che sarebbe servita a rivoluzionare il traffico sulle autostrade genovesi e anche a compire un'azione che abbiamo capito ben 28 anni dopo: salvare il ponte Morandi, che stava già rischiando, come dimostrano le testimonianze del processo entrato in questi giorni nella sua fase calda.
Quell'opera-chiave avrebbe scaricato via il traffico che aveva logorato l'opera immane, rivoluzionaria, ma anche fragile di Riccardo Morandi, morto due anni prima nel 1989 e avrebbe distribuito i flussi rimontanti del traffico, che aveva investito Genova in altre direzioni, invece di concentrarlo lì. Ma Genova tentennava, come ha sempre fatto di fronte alla grandi opera autostradali di possibile seconda generazione dopo la Camionale, poi raddoppiata, la Genova-Savona degli anni Cinquanta, poi raddoppiata tra i Sessanta e gli Ottanta, la Genova-Livorno, la mitica A26 Genova-Alessandria-Gravellona Toce, concessa come “pacchetto compensativo” allo scippo delle direzioni generali Fincantieri, dirottate a Trieste a fine anni Sessanta, la Savona-Ventimiglia costruita in soli 5 anni. Genova tentennava con il suo sistema politico-amministrativo, non certo imprenditoriale, a costruire quei circa undici chilometri di collegamento che avrebbe raddoppiato a monte il tratto di autostrada tra Genova e Voltri con un'opera rapida e che si sarebbe potuta realizzare velocemente. Si disse che la bocciatura fosse giustificata da motivi politici dal Pci allora appena diventato PDS, in piena trasformazione, ma che a Genova era in in piena spinta. Temevano che la nuova opera devastasse nella sua costruzione un territorio ”sacro” politicamente per la sinistra, allora quasi egemone, soprattutto le colline di Prà “miracolate” dalle serre di basilico. Quei 600 miliardi non li abbiamo mai visti, come la Bretella che era anche un brutto nome, anche un po' casalingo, per un grande passante autostradale.
Li dirottarono al Sud, sulla Reggio-Calabria-Salerno, un'altra opera infinita, che forse è finita solo ora, praticamente trenta anni dopo. I miliardi al Sud e a noi nulla. Il ponte Morandi restò a logorarsi, il traffico a ingolfarsi tra Volti e Nervi, l'autostrada che era diventata di fatto una tangenziale, ma che si continuava a pagare come un'autostrada, come oggi, tale e quale. Chi si mangiò le mani , più dei cittadini abbastanza ignari di quello scippo miliardario, fu soprattutto la Dc di allora, che voleva la Bretella, ma dall'altra parte stava avviandosi, come tutti i partiti salvo il Pci, alla dissoluzione di Tangentopoli. La memoria di questo passaggio chiave nel sistema autostradale genovese, sempre sostenuto ancora oggi dai guru del sistema urbanistico genovese, come per esempio Giorgio Olcese, oggi lucidissimo osservatore utranovantenne dei fatti di attualità, ieri grande capo dell'urbanistica, praticamente il “disegnatore” di Genova come è ora, torna indietro davanti alle ultime vicende del Terzo Valico. Speriamo che veramente il tentato scippo, sarebbe appunto il secondo, dei 4 miliardi questa volta di euro, sia fallito e quei soldi per un'opera ancora più chiave di quella antica Bretella sia stato fermato, grazie soprattutto all'opposizione del vice ministro genovese alle Infrastrutture Edoardo Rixi. Perché l'alternativa fomentata era quella di trasferire il pacchetto del finanziamento ancora una volta, trenta anni dopo, al Sud sull'alta velocità Bari-Napoli, opera, essenziale, ma anche quella senza una data compresa nei temi giugulatori del PNRR, cioè il fatidico 2026.
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Speriamo che bastino quei 4 miliardi e la determinazione a condurre in porto il Terzo Valico, un'opera che Genova aspetta da cento anni, che, ripartita nel 1990, con la costituzione del Civ e poi del Cociv, è andata avanti a singhiozzo per decenni, con governi a volte in spinta a volte in frenata, su una costruzione della più lunga galleria ferroviaria mai vista in Italia, 37 chilometri per avvicinare Genova a Milano. La vicenda delle due talpe insabbiate, come l'esercito fascista in Africa nella seconda guerra mondiale, suscita molti dubbi. Possibile che in tanti anni di studi, di progetti, di preparazioni i tecnici non si siano accorti della natura del materiale che avrebbe trovato scavando? Il Terzo Valico e oggi ben più importante di quella Bretella slacciata da una classe dirigente politico amministrativa che allora aveva probabilmente fatto i suoi calcoletti miopi. Ma la guerra Nord-Sud continua e non solo per i miliardi ferroviari.
IL COMMENTO
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