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Nell'estate dei rincari al ristorante, l'indignazione è tutta per i 2 euro per dividere un toast sul lago di Como e per i 2 euro del piattino di condivisione a Finalborgo. Eppure quello che più mi colpisce - non solo nel portafoglio - è vedere i prezzi di tutte le portate che nel giro di sei mesi pian piano sono lievitati come farebbe una teglia di focaccia in forno. Antipasti? Si va dai 14 a tranquillamente 16 e 18 euro, forse per "tutti quelli che chiedono l'antipasto al posto del secondo". I primi? Dimenticatevi i pansoti e le trofie a 10 euro, sono quasi introvabili. C'è chi si si ferma con modestia a 12, chi rilancia con ottimi piatti di pasta (a volte fresca, a volte no) a 15, ma soprattutto chi è arrivato a 18 euro senza battere ciglio. E i secondi? Ho visto occhiate di traverso nelle comitive dove si divide il conto alla romana nei confronti di chi azzarda a prendere il polpo alla griglia o una bella tagliata: dai 22 ai 28 euro. Il dolce? "Solo" 8-10-12 euro, in confronto ai 5-6 dell'anno scorso. Metti poi una bottiglia di vino e un amaro... No, forse meglio di no, per questa sera "siamo astemi, grazie". 

Sta di fatto che non biasimo di certo chi a cena o a pranzo fuori decida di star leggero, ordinando soltanto un piatto, come hanno fatto moltissimi nel commentare il "caso" condiviso da Selvaggia Lucarelli della famigliola che per un piatto di trofie al pesto, birra, acqua potabile e una porzione di acciughe hanno ricevuto un conto di ben 55 euro e 50. Se avessero ordinato due portate a testa avrebbero speso 40 a testa o anche più. Il problema non è nemmeno quel locale di per sé (che tra l'altro è stato bombardato di recensioni negative su Google da persone che non ci sono mai state, cosa che ritengo scorretta e per cui esprimo la mia solidarietà). Ora, sono troppo giovane per ricordarmi a quante mila lire corrispondano tutte queste cifre che vi ho elencato. E poi i tempi sono cambiati, quindi è giusto che cambino anche i prezzi. Quello che più mi colpisce è che quasi tutti i locali si stiano adeguando su questi prezzi e quasi conviene un'esperienza 'coccolati' dallo chef, rispetto a certi ristoranti o addirittura locali che servono aperitivi e piatti per cui si spendono solo due o tre decine di euro in meno. 

Non c'è più proporzione, difficile trovare ancora qualche osteria o trattoria di quelle un po' alla buona, così come è diventato difficile mangiare una pizza e spendere meno di 10 euro. Del resto, c'era da aspettarselo: prima il Covid e le aperture a intermittenza, poi le bollette salate tra luce e gas. E forse le voci "fitto", "energia" e "contributo gas" le avrei accolte senza fiatare, con gran comprensione di chi deve far tornare conti che non tornano in un mondo sempre più costoso. Ma mi va un po' per traverso spendere minimo 25-30 euro ordinando un piatto e qualcosa da dividere, vedendo in alcuni casi aumenti spropositati, in rapporto a location, servizio, accoglienza, qualità, concorrenza. E ho detto minimo, perché a volersi concedere tre portate si arriva come niente a 50 euro. 

La mia è soltanto una riflessione, sono la prima ad ordinare la "margherita gourmet con burrata e pistacchio di bronte". Perché mi piace e perché "cerco l'esperienza". Perché amo andare a mangiare fuori, 'divorare' nuovi posticini, trovarmi a tavola con gli amici e condividere il sapore dello stare insieme. E sono anche la stessa che ogni settimana si riduce all'ultimo a cercare dove andare a cena nel weekend, trovando inesorabilmente sempre quasi tutto pieno. Perché in fondo, non importa se c'è la crisi, se gli stipendi sono rimasti sempre gli stessi, se è aumentata la spesa al supermercato, ad andare al ristorante non si rinuncia mai. Giusto? Io, però, nel dubbio le trofie al pesto me le mangio a casa...