"L'ho incontrato nei corridoi di Mediaset, io ero un giovane giornalista", lo ricorda così il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti il suo primo incontro con il Cavaliere. "Da un lato aveva la volontà di piacere a tutti, dall'altro lo contraddistingueva una laicità di approccio su diritti civili e sociali non propri di un leader conservatore".
Silvio Berlusconi non c'è più. Ma indipendente dalla eventuale diaspora dei suoi Azzurri, il "berlusconismo" gode ottima salute. Si potrebbe condensare in queste poche parole il segno che ha saputo lasciare nella storia politica italiana il fondatore di Forza Italia. È stato divisivo come pochi altri, Berlusconi. Potevi amarlo visceralmente, altrettanto visceralmente potevi detestarlo. Persino odiarlo, a detta di alcuni.
Certamente secondo egli stesso, che fin dal momento della sua arcinota "discesa in campo" si è costruito una doppia immagine. Da una parte l'imprenditore capace e vincente, l'uomo che si è fatto da solo, partendo dal cemento e arrivando fino alle antenne di Mediaset. Anche grazie, lui non lo ha mai negato, ad amicizie forti come quella che lo ha legato al socialista Bettino Craxi, uno dei suoi predecessori.
Dall'altra parte, però, c'era l'immagine del perseguitato, della vittima: l'uomo osteggiato dalla magistratura, le "toghe rosse" che ha tentato di fermare con mai realizzate riforme della giustizia e con le leggi "ad personam". La stessa magistratura che ha inanellato una sequenza infinita di procedimenti contro di lui e il politico messo in croce dai nemici comunisti e da giornali e giornalisti che avrebbero fatto carte false pur di farlo cadere.
Probabilmente c'è una terza categoria alla quale è appartenuto Berlusconi ed è quella del paradosso: per esempio, venne fatto fuori dalla politica dalla cosiddetta "Legge Severino" che lui stesso contribuì ad approvare. E non si può dimenticare come gli si siano rivoltati contro personaggi quali Pierferdinando Casini, oggi eletto come indipendente nella fila del Pd, e soprattutto Gianfranco Fini, a suo tempo leader di quella Destra che Berlusconi contribuì a sdoganare quando era scomodo farlo se molto della Destra ancora stava sotto le insegne del Movimento sociale italiano, erede diretto del fascismo.
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Però Berlusconi fu pure quello che andò a festeggiare il 25 Aprile ad Onna, uno dei paesi devastati dal terremoto in Abruzzo. O fu quello che a Pratica di Mare ottenne la stretta di mano fra l'allora presidente degli Usa George Bush e quello della Russia Vladimir Putin: cercò di mettere d'accordo il diavolo e l'acqua santa, come non sarebbe più riuscito a nessuno e con le conseguenze che oggi vediamo e subiamo attraverso la guerra d'invasione della Russia contro l'Ucraina.
Sono tutti episodi, e altri se ne potrebbero citare, che testimoniano quanto l'esistenza di Berlusconi sia stata contraddittoria. Anche con quelle sue "cene eleganti" popolate di personaggi d'ogni genere e di signorine che si raccontano tuttora troppo compiacenti. O quanti chiaro-scuri ci siano stati nei rapporti con i suoi sostenitori e i suoi alleati.
Uno vive e amministra la città di Imperia, il sindaco Claudio Scajola. Ne costruì il partito, Forza Italia, e ne fu un apprezzato ministro delle Attività produttive, pur dopo la parentesi iniziale al Viminale finita male per quella improvvida frase sul giuslavorista Marco Biagi, ucciso dai terroristi.
Scajola è sempre stato definito un Berlusconi in miniatura dal punto di vista politico. Io che lo conosco da quando avevamo entrambi i pantaloni corti non ho mai condiviso questo giudizio: Scajola era semmai il completamento di Berlusconi. E se questi lo avesse assecondato nella sua costruzione del partito e della struttura portante dello Stato, probabilmente la storia di Forza Italia e del Paese sarebbero state altre. Migliori? Non esiste controprova possibile. Diverse, sicuramente.
Ma le cose non sono andate così. Bastava sussurrare alle orecchie del "capo" che qualcuno tentava di fregarlo perché scattassero i meccanismi difensivi. I quali puntualmente si traducevano in forme di ostracismo più o meno evidenti. Ne ha pagato lo scotto, almeno in termini di tensioni, la stessa premier attuale Giorgia Meloni. Ricordate il foglietto su cui venivano elencati i difetti di Giorgia? Lui disse che era il sunto di ciò che ne pensavano gli altri, in realtà tutti sappiamo che in quel momento era esattamente ciò che riteneva Berlusconi. Il quale faticava a lasciare il centro della scena ad un'altra persona, che in più era nata alla sua ombra e per sovrappiù era una donna. Negli ultimi giorni aveva mutato atteggiamento, si era fatto più costruttivo verso il governo e nel sostegno a Meloni: si dice fossero i suoi consiglieri ad averlo suggerito. Io sono più convinto che semplicemente Berlusconi avesse modificato opinione.
Era fatto così. Ho avuto modo di conoscerlo personalmente e di approfondire questa conoscenza in diverse circostanze professionali, prima al Secolo XIX, poi a Primocanale. Sia nelle sedi del giornale e della tivù, sia nella sua villa di Arcore. Berlusconi non è mai stato diverso da come viene raccontato: generoso, aperto, disponibile, ma allo stesso tempo puntiglioso, precisino quando di mezzo c'era la sua immagine veicolata attraverso una intervista. Voleva avere le domande prima, per preparare gli argomenti e quindi le risposte.
Nulla di scandaloso. Anche perché poi, puntualmente, si sarebbe andati al di là di quegli argomenti e lui non si sarebbe sottratto. Con me non lo ha fatto, ho motivo di credere che questo non sia mai avvenuto. E ciò dimostra che Berlusconi aveva convinzioni ben radicate e che certe "preparazioni", ecco un altro paradosso, gli servivano solo a sentirsi più a suo agio.
A meno che non fossero i suoi più stretti collaboratori a essere più realisti del re e a sentirsi meglio sapendo prima di che cosa si sarebbe parlato. Ricordo, ad esempio, che in una delle mie ultime interviste a Berlusconi per Primocanale fui messo in guardia: "nessuna domanda sul Milan!". Erano i momenti difficili in cui stava rinunciando alla propria creatura rossonera, che pure aveva trasformato in uno dei club più vincenti al mondo. Comprensibile, mi dissi, che non desideri parlarne. Davanti al microfono, invece, Silvio quasi sbottò: e del Milan non mi chiede niente?
A proposito di interviste, ne rammento una ad Arcore. Stavo al Secolo XIX e volevo registrarla, un po' per comodità, un po' perché così sarei stato più preciso nel riportare il pensiero dell'allora premier. Solo che il microfono faceva le bizze: "com'è duro, provi a mettermelo qui". Si bloccò di colpo, Berlusconi. Poi si lasciò andare ad una fragorosa risata: "Pensi se i miei nemici questa cosa qui potessero conoscerla e divulgarla. Giocando sugli equivoci chissà quante ne direbbero... Oh, lei non è mica un mio nemico?".
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In questo piccolo episodio c'è molta parte di Silvio. Anche scanzonato - come dimenticare le sue intonazioni insieme con l'amico Apicella? - e capace di sdrammatizzare. Ma pure uno che ha saputo costruire una storia non replicabile di se stesso e del Paese in cui ha vissuto e che tanto ha detto di amare. Definendosi "unto dal Signore" provò a mettersi al di sopra, com'era nel suo carattere, cercando di assecondare quelle che sono state le sue due grandi ambizioni.
Una: diventare Presidente della Repubblica. Credeva di meritarlo, prima del Mattarella-bis ci ha provato. Non c'è riuscito. Due: entrare nella Storia, con la maiuscola. Questo lo diranno i posteri. Nei libri di storia, invece, certamente c'è già di diritto. Il "berlusconismo" sopravviverà a Berlusconi. Condivisa o no, la sua impronta sulle vicende italiane è ben visibile fin d'ora.
IL COMMENTO
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