Commenti

Il capoluogo ligure raccontato in prima serata su Rai 3
4 minuti e 18 secondi di lettura

Mai un programma televisivo nazionale su una rete Rai aveva dedicato tanto spazio a Genova: due ore e quindici minuti in una prima serata finita in seconda serata per raccontare “la città segreta”. Con la firma autorevole di Corrado Augias, giornalista e divulgatore. Mai uno spazio televisivo ha raccontato la Superba dalle origini praticamente fino ai giorni nostri: dal battesimo del nome “Ianua”, imposto dai romani, al ponte Morandi, crollato e ricostruito, tutto scintillante. L'episodio è disponibile su RaiPlay, per vederlo è sufficiente registrarsi gratuitamente.

CLICCA QUI PER VEDERE LA PUNTATA

E allora cosa resta di Genova in questo racconto oceanico che di segreto ha ben poco, semmai ripassa tutto quello che segreto non è, ma anzi arci noto e un po’ struggente, dal marchio sonoro di Fabrizio De Andrè, che apre la storia “segreta” fino alla comicità unica di Villaggio_Fantozzi_ Fracchia, fino alla meteora della bella porno star Moana Pozzi, fino al sacrificio di Guido Rossa martire Br, con un accostamento audace, quasi provocatorio.

Augias ha cercato di raccontare tutto nel suo programma, dispiegando la potenza dell’archivio Rai. Ha seguito un filo di discontinuità che ha messo la storia dei cantautori da De Andrè, a Paoli, a Bindi, a Tenco, a Lauzi (ma non Fossati), ben piantata nel quartiere originario della Foce, all’inizio del racconto, ben prima di Andrea Doria, del “siglo de los genoveses”, del trionfo seicentesco sui banchieri del mondo, ben prima della potenza marinara della Repubblica.
Come se il canto, la “chanson de geste”, venisse prima del resto, appunto delle gesta.

Alla fine è venuta fuori una storia della città potente e dolente, un po’ piegata sul finale dalla sequenza quasi drammatica, prima dei fatti del giugno 1960, con la polizia di Scelba contro i portuali e il giganteggiare di Pertini, poi dal terrorismo con il sacrificio di Guido Rossa ben approfondito ( ma quello del Pg Francesco Coco , dei carabinieri ammazzati nei bar di Sampierdarena e delle altre vittime uccise o sequestrate?), del massacro G8, del crack del ponte Morandi.
Una storia, quindi, segnata, un po’ dannata, ma erede di quella gloria antica , fotografata nella magnificenza dei palazzi dei Rolli , nei giudizi storici dei grandi viaggiatori dell’Ottocento, dei grandi artisti, dei poeti come Petrarca e dei pittori come Rubens, degli scrittori come Dickens, abbacinati dalla bellezza, dalla ricchezza, dal carattere unico dei genovesi, fino alle parole di Checov: “Genova è la più bella città del mondo.”

Molte immagini, ma soprattutto dei “caruggi”, sorvolati o penetrati quasi di corsa dal giovane De Andrè, preso in prestito dalla fiction Rai di qualche anno fa, del quartiere di Albaro, eletto un po’ a sorpresa zona-chiave della città, quando è sempre stato elegantemente periferico e staccato.
Molti personaggi, con quella sorpresa di Moana Pozzi, esaltata nella sua diversità, trasformata in icona di una Genova alternativa, uno strappo che susciterà sicuramente discussioni.

Ombelicale nel racconto Rai è il porto, un po’ meno i quartieri del Ponente, i più popolosi e i più violentati dalla trasformazione industriale. Spicca la storia della “Concordia”, un po’ avventatamente accostata alla famiglia Costa, di cui portava solo la C sul fumaiolo e null’altro, mentre Augias passa dalla Franca C., la prima nave da crociera inventata dalla storica famiglia di armatori e commercianti di olio, alla vicenda del clamoroso naufragio all’Isola del Giglio, come se fosse da addebitare a loro, mentre i Costa non c’entravamo più nulla, essendo la flotta stata comprata dalla americana Carnival.
O forse quella vicenda è servita all’autore per l’immagine potente del recupero del relitto e poi del suo trasporto fino al porto di Genova-Prà, in un corteo avviato alla demolizione, una attività storica dello scalo genovese.

Certo i critici ossessivi che guardano Genova in tv nazionale, senza pensare all’audience ben più generale, hanno storto il naso agli errori di pronuncia dialettale, a via Torino, invece che corso Torino, epicentro della scuola di cantautori, all’eccessivo spazio alla signora Shelley, alla mitologia di De Andrè e al fatto che non siano stati nominati né Cristoforo Colombo, né don Andrea Gallo, antipodi delle gesta genovesi . E tanti altri allora?
Un programma televisivo non è una antologia, una summa teologica, una bibbia, ma è prima di tutto uno spettacolo che deve avere un suo equilibrio, nel quale magari serve insistere sulla forza di Paganini e del suo violino capriccioso e sull’importanza di Giuseppe Mazzini nella storia non solo genovese e italiana, sulla monumentalità di Staglieno.

Così ha fatto Augias, scegliendo, scovando, sottolineando, ma anche scavalcando, con il suo tocco che sicuramente è più efficace quando “racconta” la cronaca più recente e la politica, anche magari un po’ schierata, come accanto al sacrificio dell’alpinista-sindacalista Guido Rossa, al sindacato, ai centomila dei suoi funerali, agli errori politici di valutazione sul terrorismo.

Se si va a pesare la trasmissione, spulciando quello che non c’è, come per esempio Palazzo Ducale, i Musei Civici di via Garibaldi, per altro stracitata, tanti altri “monumenti” della storia genovese, si sbaglia strada. Quello che conta è il filo del racconto, che può ben incominciare con “La Ballata del Michè” e “Creuza de ma’, pronunciate alla straniera, e finire con lo scintillio del ponte San Giorgio. Ma lo avevate mai visto uno spot come questo su Genova?