Commenti

5 minuti e 10 secondi di lettura

In modo fortunatamente meno cruento, questo "finale di partita" alla Sampdoria assomiglia molto - nelle dinamiche collettive di attendismo e doppiogiochismo e cancellazione di tracce compromettenti - alla guerra civile italiana, che dista ormai ottant'anni dal suo divampare, 8 settembre 1943, ma che è ancora in pieno corso, sempre più grottesca nella fallacia delle manichee ricostruzioni contrapposte, e forse non finirà mai.

Non era bastato che i sampdoriani dalla sera alla mattina si trovassero scaraventati, dalle mani più sicure possibili su piazza, a quelle di un patteggiatore per bancarotta fraudolenta con altri precedenti, dai mezzi economici inversamente proporzionali al greve e urticante istrionismo, pescato chissà come e chissà perché a Roma. Una scelta tuttora senza una spiegazione credibile e logica. Col corollario, ancor più incredibile e illogico, del consistente sostegno economico e di indirizzo dei precedenti proprietari, che pure avevano abbandonato perché non volevano più spendere soldi nel calcio, ma nei fatti avrebbero continuato a farlo e non per un periodo breve.

La pena per i sampdoriani non sembra finire mai. E non è solo l'ultimo posto in classifica, per la squadra maschile come per quella femminile. Frutto puntuale di un metodico depauperamento tecnico dovuto alla completa assenza di investimenti da parte di un proprietario che, unico in Italia e forse nel mondo, nel club non ha mai messo un euro (oltre a quello simbolico per l'acquisto), prendendone in compenso parecchi, in base a regolare stipendio autoassegnato.

La pena maggiore è che non si vede la fine di questa afflizione che dura ormai da quasi nove anni. Nove anni di cui oltre la metà trascorsi nel miraggio crudele di una svolta imminente, infinite volte annunciata e mai avvenuta. Era il 23 dicembre 2018 infatti quando il Secolo XIX annunciò dell'iniziativa Vialli-Dinan-Knaster per rilevare la società. Da allora i giorni i mesi gli anni sono stati scanditi da una diabolica concatenazione di sussurri e grida, indiscrezioni e annunci, date da cerchiare in rosso e bottiglie da stappare, vocali e whatsapp degni di "Animal House" e altrettanto attendibili, inviti a quietare per non far saltare l'affare, a non rumoreggiare perché "non è questo il momento". Hanno fatto irruzione in scena anche personaggi pittoreschi, dalla credibilità sotto zero eppure presi per buoni, probabilmente per disperazione collettiva e in taluni casi per azzardo.

Le cose sono precipitate negli ultimi mesi, per non dire settimane. Man mano che la Sampdoria scivola verso la lugubre prospettiva del fallimento, contro cui si batte giorno e notte il CdA guidato da un gran signore come Marco Lanna, risale il malcontento popolare, sia verso gli artefici primi di questa situazione, sia verso il personaggio che sta trascinando nel baratro un bene amato da una moltitudine.

Di tutto aveva bisogno la gente doriana, insomma, tranne che di rivedere quel personaggio allo stadio. Chi lo ha fatto entrare prende di diritto un posto nel novero di chi un giorno potrebbe essere chiamato a rispondere, almeno moralmente, della fine della Sampdoria. Altri potevano avere un movente per distruggerla: la superficialità, il sadismo, l'avidità, il rancore, la permalosità, la coscienza sporca, qualcosa di oscuro che non sapremo mai. Non aveva invece una ragione propria il soggetto che ha emesso il biglietto di lunedì, per giunta giustificandosi a posteriori con patetici quanto urticanti appigli alle regole, alla burocrazia, all'"atto dovuto", un avvilente repertorio di pilatismo che rievoca nel lessico, in modo puntuale, pagine ben più nere e crude, anche quelle motivate nel quadro di una ineludibile catena di automatismi di protocollo.

E invece qualcuno almeno stavolta doveva avere la forza di dire "no". Nossignore, ci spiace, a lei vedere o non vedere la partita non cambia niente, tanto non tifa per nessuna delle due squadre, lei vuole soltanto piantare una bandierina, vincere una sfida, spargere altro sale sulle ferite di una moltitudine che lei ha già ferito abbastanza, se la guardi alla tv ché si vede anche meglio e poi non prende né freddo né pioggia. Qualcuno doveva dire: per favore, lasci perdere, non è proprio il caso e nemmeno dovremmo spiegarle perché.

E invece è stato permesso anche questo. E poco importa quale ufficio o segreteria abbia stampato il biglietto. Importa che nessuno si è opposto, tra chi aveva modo di farlo, a quel che era nell'aria da più di una settimana e quindi tempo per agire ce n'era. Nessuno tra chi poteva, e più d'uno poteva, ha alzato il telefono per dare un suggerimento, se non addirittura qualcosa di più vincolante. I padroni dello sport e del calcio, a loro ci riferiamo, almeno questa potevano risparmiarsela, anzi risparmiarla a chi ne ha patite e ne sta patendo tante, troppe.

Ma forse costoro volevano far capire fino in fondo, ai sampdoriani umiliati e offesi, da che parte stiano. Slancio superfluo, lo si era capito da tempo, da quando nulla ma proprio nulla era stato fatto dalle autorità di vigilanza sportiva, innanzitutto per fare chiarezza sul più strano passaggio di proprietà della storia non solo del calcio, poi per sorvegliare altri snodi opachi tutti figli del primo, fino all'assoluta inerzia di fronte alla costruzione di una gabbia giuridica che, mettendo una società di serie A a garanzia di altri guai di diverso genere del padrone, di fatto ne rendeva impossibile - come è stato - il passaggio in mani finalmente affidabili, credibili, solide e sicure. Imprigionandola fino alla soglia della rovina.

E dire che il mese scorso, tra i superiori degli stessi soggetti che hanno ossequiosamente e docilmente stampato il biglietto di lunedì sera, non pochi avevano sgomitato non poco, per timore di restare esclusi dalla foto di gruppo dove si fa bella figura, per dire la loro, con frasi prestampate di circostanza rivelatesi lacrime di coccodrillo, su un dolore vero e profondo che qui a Genova, nel piccolo mondo grande come un mondo della Sampdoria, non smetterà mai di bruciare.

Chi davvero voleva onorare un grande uomo come Gianluca Vialli, che secondo il titolare del biglietto di lunedì sera doveva "venire coi soldi in bocca" (Natale 2018, quando il campione scomparso il 6 gennaio scorso aveva già reso pubbliche da un mese le sue preoccupanti condizioni di salute), avrebbe avuto il dovere di difendere la sua casa e la storia che aveva scritto. Se tutto questo fosse per svanire, dopo lunedì sera si farebbe più lunga la lista dei colpevoli.