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Colpendo opere d'arte e palazzi, il movimento ecologista ripercorre una strada lugubre
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Prima i dipinti, ora il palazzo del Senato, domani chissà. Come sempre, in Italia ci teniamo a distinguerci, specie nel peggio. E allora, prima che ci vada di mezzo un ingegnere chimico qualsiasi, messo dal destino a capo dell'azienda "sbagliata" e individuato sui motori di ricerca, "simbolo e non persona" come si farneticava anni fa tra i pistoleri, qualcuno dovrà pur dire che questo movimento ecologista mondiale "spontaneo e sorto dal basso", le virgolette sono mie e poi le spiego, questo movimento che dice di prefiggersi un futuro migliore, sia pure senza volerlo perlomeno in Italia ci sta facendo lentamente ripiombare, noi che certe cose le abbiamo viste e vissute, in un passato che avremmo voluto dimenticare. Siamo preoccupati proprio perché ricordiamo.

Siamo preoccupati perché questo movimento sta ripetendo passo dopo passo il cammino di certi movimenti di non troppo tempo fa, decisi anch'essi a cambiare il mondo e quindi a volerlo fare con le buone o con le cattive, anche se poi hanno usato soprattutto le cattive, lasciando un bel po' di innocenti a terra, prima di riciclarsi, finita la sanguinaria ricreazione, nella savana della cultura o di tornare nell'alta società.

Ecco, bisogna pur dirlo che siamo pericolosamente sulla stessa strada degli anni di piombo e quindi sarebbe meglio rimodulare al più presto canoni e codici anche lessicali, perché le parole sono cose e con le parole si fanno le cose, perché se decidi che questo mondo fa schifo e va salvato, e va salvato in fretta a ogni costo, ecco che sul piano delle dichiarazioni programmatiche (sempre del tutto prive di cautela e di toni sfumati, di riguardo per le ragioni altrui, insomma del sacro dubbio) siamo a un passo dalla catastrofe, perché dopo le opere d'arte e il palazzo delle istituzioni la catena logica conduce in modo inesorabile laddove non si dovrebbe mai arrivare, perché purtroppo le premesse sono le stesse di allora ("Vogliamo un mondo migliore e lo realizzeremo a qualsiasi costo") e le conseguenze pratiche potrebbero non tardare a esserlo, proprio in quelle due parole, "qualsiasi costo". Perciò, nel suo stesso interesse, il movimento internazionale "spontaneo e sorto dal basso" farebbe bene a ripensare il salto di qualità compiuto con gli assalti alle cose. Innanzitutto perché dopo le cose ci sono soltanto le persone. Ma anche perché una deriva di violenza, anche se solo verbale ed esercitata contro le cose, aprirebbe cupe possibilità proprio ai nemici della causa ambientalista, con la vecchia collaudatissima tecnica degli "agenti provocatori", ovvero degli atti commessi da Tizio in modo e all'esclusivo scopo di farne ricadere la colpa pubblica su Caio. A Piazza Fontana, cuore di tenebra germinativo degli anni di piombo, la bomba fu fatta esplodere (nel disprezzo assoluto delle vittime) non tanto per uccidere, quanto perché quel sangue fosse attribuito a qualcuno. Così oggi ci vorrebbe poco, senza la necessaria rinuncia esplicita a metodi violenti che non si sottraggono a una logica binaria, perché un nemico dell'ecologismo ordisca un attentato nell'ambito di bersagli ormai ossessivi dell'ambientalismo radicale come il traffico aereo civile o quello ad alta velocità ferroviaria, con tanto di rivendicazione apocrifa, per provocare la scomunica se non la messa fuori legge di un movimento che ha comunque un peccato originale non da poco. E veniamo alle virgolette, appunto.

Quando infatti scrivo "movimento spontaneo e sorto dal basso" tra virgolette lo faccio perché, dopo tutto il fetore che arriva da Bruxelles e Strasburgo a proposito di due Stati extraeuropei che usavano l'Europarlamento come un teatrino delle marionette, muovendone a loro piacimento alcuni parlamentari, abbiamo sul piano politico la prova provata che almeno due Paesi non occidentali vogliono portare l'Occidente, infiltrandone a suon di corruzione le istituzioni, dove vogliono loro. Cioè alla subordinazione ai loro interessi socioeconomici, quindi alla rovina.

Ecco la domanda: a corrompere i centri decisionali dell'Occidente, dalla politica ai media alla cultura, sono solo quei due Paesi? Lo fanno solo quei due e da poco tempo? O non ci sono ben altri burattinai in azione, e attivi da molto più tempo?

Eccola, la natura ontologicamente ambigua del "movimento spontaneo sorto dal basso". Pratico il sistema dei media da quand'ero poco più che bambino, prima dalla parte dell'utente e poi dall'interno, e so quindi quanto sia difficile "piazzare" un "pezzo" in un giornale, insomma avere spazio, so quanto sia selettivo il sistema per avervi ospitalità.

Qui a Genova per esempio abbiamo un gruppo di persone che una volta al mese si trovano sui gradini del Ducale per invocare la pace nel mondo. Lo fanno da decenni e, a parte l'esito magro dell'iniziativa, mediaticamente non se li è mai filati nessuno. Per questo mi è suonata falsa fin dall'inizio la suggestiva fiaba della piccola fiammiferaia che salta scuola contro l'inquinamento e in pochi giorni diventa un fenomeno mondiale, inondando le librerie e i palinsesti, facendosi ricevere da pari a pari da tutti i potenti del pianeta. Non c'è mai stato niente di simile nella storia dell'umanità, perfino le tre religioni monoteiste hanno avuto tempi più lunghi di diffusione. Quindi tutto quello che ruota attorno a questa ragazza, ormai maggiorenne, è platealmente l'esatto contrario di un "fenomeno spontaneo sorto dal basso". Sembra trattarsi con tutta evidenza di una sofisticatissima operazione di indottrinamento, decisa e pianificata a livello molto alto, con risorse economiche assai ingenti. Da chi e perché?

Non ci sono, per ora, prove. C'è però l'argomento logico del "cui prodest?", abbinato a un dato pratico: questa campagna internazionale (come altre consimili, tipo quella contro la pena di morte) è una partita tutta interna all'Occidente, visto che Cina e India, che sono tra i principali inquinanti, di tutto questo se ne strafregano e hanno già fatto sapere che di ridurre da loro l'uso di carbone e petrolio se ne riparlerà non prima del 2060. Però non si ha notizia di quadri o palazzi imbrattati, o anche solo di cortei del venerdì, a Pechino.

A seguire alla lettera tutti i massimalistici proclami della ragazza e dei suoi seguaci, l'Occidente riprecipiterebbe nella situazione precedente alla Rivoluzione Industriale. Rinunciando in modo precipitoso alle fonti di energia classiche, quindi a quasi tutti i mezzi di trasporto e di produzione di elettricità attualmente disponibili, in ultimo rinunciando così alla modernità, il Primo Mondo scivolerebbe ben presto nel Terzo, per una diffusione catastrofica di disoccupazione e povertà generalizzate e quindi ogni male possibile, dalle tensioni sociali alle guerre civili. E chi saprebbe por mano a tutto questo, evitando il disastro? Ma naturalmente i ragazzini che sanno tutto. Peccato che "Il mondo salvato dai ragazzini" sia appunto soltanto un libro, e un libro di poesie, e di poesie scritte sotto mescalina. Per dire.

Non che il mondo com'è messo oggi sia un gran che. Ma c'è modo e modo di ripararlo. Però, lo insegna la storia per chi l'abbia studiata, chi si era prefisso di creare il mondo perfetto, se ha avuto modo di passare dalla teoria alla pratica, lo ha invece reso tragicamente peggiore, combinando solo disastri. Tanto più che, accanto all'originaria matrice "ecologista" si è presto affiancato un movente anticapitalista e antidemocratico se non addirittura nichilista, esemplificato dai proclami che un mese fa mi è capitato di leggere su un settimanale italiano, con un'articolista a me ignota e presentata come "attivista", che proferiva sentenze cose come "Le istituzioni che non funzionano vanno migliorate, riformate, abolite" oppure locuzioni come "Attacco alla ricchezza", un crescendo robespierriano coerente con la spettrale e costante reticenza elusiva, che si registra in altre dichiarazioni pubbliche ai vertici del "movimento", sul decisivo tema della tassativa esclusione dei metodi violenti dalle tecniche di militanza. Metodi ormai attuati, è cronaca da mesi, nei confronti delle cose.

Ecco perché non vorremmo rivedere un film già visto. Astuti burattinai invisibili, che fidano e si servono di una serie di collaudati elementi che non variano, nei secoli della commedia umana, con i vertici nel Kirilov dei Demoni: 1) il naturale ingenuo velleitarismo palingenetico dei giovani, che credono di aver già capito tutto, quindi ignorano che i problemi complessi non hanno mai soluzioni semplici e che non esistono decisioni a costo zero e buone in ogni dettaglio; 2) i sentimenti non costruttivi ma rancorosi di chi alla lotteria della nascita abbia preso un biglietto poco fortunato, cioè quasi tutti; 3) il senso di colpa che alligna tra quei pochi che invece hanno preso il biglietto giusto, un senso di colpa che si estende di padre in figlio, e che si traduce in ammiccamenti ora simbolici ora concreti, fino al salto di barricata, accanto a quelli che dovrebbero essere "nemici di classe".

Il tutto esasperato da quello stato di esaltazione competitiva di gruppo, animato dall'istinto di far vedere gli uni agli altri quanto si sia più duri e puri, fin dove si sia disposti a spingersi, una nube tossica che mezzo secolo fa aveva portato paradossalmente più d'uno dal ruolo di mite catechista nell'Azione Cattolica alla lotta armata in clandestinità. Sempre con l'obiettivo di "salvare il mondo", rovinando però vite, comprese le proprie. Tutte cose che qui in Italia abbiamo già visto, specie negli anni Sessanta e Settanta, e sono finite malissimo. Anzi non sono ancora finite. Rispuntano, sembrerebbe, sotto falso nome.

Se gli argomenti scientifici del "movimento spontaneo" sono così solidi e inoppugnabili, dovrebbero bastare. Qui, come a Delhi e nella Città Proibita. Difficile poi capire perché una buona causa, su cui sembrerebbe facile far convergere le opinioni pubbliche (chi non vuole la pace? chi non vuole il pianeta pulito?) deve essere perseguita con metodi coercitivi, con la violenza. Sì, violenza, perché anche distruggere un'opera d'arte è violenza. Forse perché, condotta in questo modo illogico e irragionevole, ovvero soltanto in una parte del pianeta, questa causa strabica e asimmetrica giova soltanto all'altra parte, che si gode lo spettacolo e aspetta. Forse perché in fondo questa causa non è così buona come sembra, oppure non è buono fino in fondo chi la propugna.