
La riforma fiscale è uno dei punti chiave del governo guidato da Giorgia Meloni. Una riforma, dice il premier, che si dovrà dipanare nell'arco della legislatura, perché questa è la prospettiva temporale datasi dal Centrodestra. Gli elementi decisivi, immagino, saranno due: la riduzione del prelievo (forse delle aliquote, vedremo) e la guerra all'evasione fiscale.
Sul primo punto aspettiamo di vedere quali saranno le decisioni. Sul secondo non bisogna indulgere a ipocrisie. Questo nostro Paese, intendo, ha sì il problema dei grandi evasori, ma anche quello dei cosiddetti piccoli: il negoziante, il barista, l'idraulico, l'elettricista e via elencando quando possono evadono il fisco. Dire di no significa negare la realtà. Ma come nei matrimoni, bisogna essere in due: anche il lavoratore dipendente e il pensionato "collaborano", per non pagare l'Iva o per altre ragioni.
C'è poi un fatto culturale. E pure negare ciò significa far torto alla verità. Attenzione, però: da dove nasce questo tipo di cultura? Ecco, nelle mille polemiche e nei dibattiti che accompagnano ogni discussione sul fisco, si pone l'accento sull'evasione: malcontati, 100 miliardi di euro all'anno! Una enormità, certo. Però ci si ferma qui.
Se si vuole affrontare l'argomento con onestà intellettuale, bisogna invece andare oltre e interrogarsi: il fisco si evade per il solo gusto di non pagare le tasse oppure perché i servizi che si dovrebbero ricevere in cambio fanno letteralmente schifo? Attenzione: non parlo dell'evasione "per necessità", che magari esiste ma continuo a ritenerla marginale. C'è una questione di puro pragmatismo che regola il rapporto con il fisco.
Ho bisogno di una visita medica? Devo andare a pagamento. Ho bisogno del dentista? Devo andare a pagamento. Ho fatto due o tre figli e in epoca di decremento demografico sono quasi un eroe? Il "divertimento" lo pago per gli anni a seguire. Le norme per stabilire quante tasse devo versare sono complicate? Vado dal commercialista e me lo pago. Mi chiedono qualunque documento anche per pratiche irrisorie? Vado dai competenti (ingegnere, geometra, psicologo e via dicendo) e me li pago. Mi fregano o perdo la targa dell'auto? Non si clona il numero esistente, però la Motorizzazione non te lo rinnova: bisogna obbligatoriamente andare in una agenzia e ovviamente pagare.
Potrei continuare molto a lungo con esempi del genere. E si arriverebbe sempre alla stessa conclusione: pago le tasse e in cambio ottengo servizi che fanno schifo. O non ne ottengo affatto. Nessun contratto potrebbe stare in piedi su simili presupposti.
Afferma il Presidente Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno: "La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo fa funzionare l'Italia e quindi al bene comune". Proprio qui sta il punto: far funzionare l'Italia. Che, invece, non funziona affatto. Spesso la si paragona con i Paesi del nord Europa, portandoli ad esempio rispetto al nostro. Ma il confronto non si può fermare al diverso tasso di evasione, dovrebbe comprendere anche la diversa quantità e qualità dei servizi erogati.
Quando mi è capitato di andare in Danimarca per lavoro, ho affrontato l'argomento con dei normalissimi contribuenti e mi è rimasto in testa ciò che mi disse uno di loro: "Qui se uno si azzarda a non pagare le tasse finisce pubblicamente all'indice, oltre a passare tutti gli altri guai previsti. Ma se fossi in Italia sarei incazzato e se potessi le tasse le evaderei!".
Penso che la differenza stia molto lì. Del resto, qualcosa che non funziona deve esserci se alla fine ci sono migliaia di persone che rinunciano a curarsi, pur versando regolarmente le loro le tasse. E più di qualcosa non funziona se sul prezzo dei carburanti gravano accise (imposte indirette) anche ridicole, come il prelievo per finanziare la guerra di Etiopia del 1935-36! Che pagare le tasse sia giusto non c'è dubbio. Ma bisogna ridurle e far funzionare davvero, e incrementare, i servizi dati in contropartita ai cittadini. Altrimenti nessuna riforma funzionerà.
IL COMMENTO
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