Commenti

3 minuti e 4 secondi di lettura

Buon Natale. Ce lo augureremo tante volte per questa settimana che si apre, ma che significato ha, in un tempo così diverso e imprevedibile rispetto agli anni di una stabilità e sicurezza che così rimpiangiamo? Buon Natale in una città diversa, trasformata, percorsa quasi da tanti progetti e da tante idee, ma anche sofferente, intrappolata nei pronti soccorsi, nelle dure vertenze sindacali, la più vecchia d'Italia e d'Europa, contando alla vecchia maniera, non in quella cavalcante del sindaco-manager-capo cantiere.

Due anni fa il Natale lo abbiamo vissuto sotto la seconda ondata dell'epidemia, aspettando il miracolo vaccinazioni con grandi limitazioni, un po' illusi, un po' preoccupati, piegati comunque dall'anno più terribile dal Dopoguerra. Un anno fa andava meglio, ma era pur sempre un Natale nel quale fare i conti con il Covid 19, gli scossoni alla nostra economia e alla nostra coscienza.

E oggi? Il Covid striscia ancora, ma lo vogliamo dimenticare e non solo perché le autorità hanno cancellato i bollettini. Striscia subdolo con le notizie catastrofiche della Cina, che si arrende all'infezione-zero, apre tutto e prevede sei milioni di morti, striscia frenato per grazia di Dio e della scienza umana dai vaccini, ma colpisce duro chi non ha accettato di fare la prima, la seconda, la terza e la quarta e la quinta dose.

E in più la influenza più severa degli ultimi 50 anni, alla quale l'epidemia ha aperto varchi inimmaginabili. L'emergenza sanitaria è, quindi, ancora forte, se non drammatica, e mette alla prova gli ospedali, i medici, una sanità che in tre anni di battaglia ha mezzi e forze limitate e una organizzazione che deve essere rimessa in piedi ancora una volta.

Come le trincee della guerra che fanno da argine alle avanzate nemiche, bisogna sempre armarle, metterci i soldati, se no le truppe cattive avanzano.

E allora per il terzo Natale conteremo chi ci sarà a tavola, chi mancherà dalla festa più dolce, quella dei bambini ai quali, comunque, questo tempo ha rubato tanto. Troppo e non dimentichiamocene.

Poi c'è la guerra che un anno fa neppure immaginavamo e alla quale ci siamo assuefatti con un processo interno di autodifesa che un po' la rimuove, e un po' ci si pianta nel cuore con una angoscia crescente. La vediamo da vicino come mai era avvenuto nella storia dell'Umanità, dai reportage tv ai profughi che camminano anche intorno a noi, nella nostra città, ricordandoci uno dei precetti evangelici che il Natale ricorda : la solidarietà, la generosità sono valori oggi urgenti.

Per chi crede nel piccolo bambino che scende dalle stelle, ma anche per chi non ci crede.

E alla fine c'è casa nostra, questa città che 30 anni dopo il 1992, che abbiamo giustamente celebrato ricordando la svolta di Colombo, misura i suoi cambiamenti, i suoi processi di trasformazione e epocali.

A Natale ci gira un po' la testa a seguire i grandi progetti che ogni giorno prendono corpo: quella grande diga che cambierà faccia al porto e a Genova, quel treno atteso da 110 anni che ci avvicina al mondo e all'Europa, quella ex Fiera del Mare che ogni giorno cammina con i suoi canali e le sue costruzioni nuove per disegnare uno scenario nuovo quasi stupefacente, quel tunnel subportuale che vogliono costruire, quella Gronda che cambierà il nostro modo di viaggiare, quelle migliaia di alberi che vogliono piantare, rinverdendo i nostri tetti grigi, le piazze di cemento...

Ci gira la testa. Ma restiamo con i piedi per terra e aspettiamo che l'ottimismo della volontà -come si diceva una volta- vinca. Ma non possiamo non contare i 15 mila poveri che il giorno di Natale saranno sfamati dalla solidarietà genovese, una nostra fedele tradizione. Si incominci dagli ultimi a festeggiare, sperando che il resto arrivi, sotto la Cometa.