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GENOVA -  Con l’inizio, lunedì, del ritiro a Moena, parte la stagione della riconquistata serie A del Genoa. Lavata l’onta della retrocessione appena in un anno, ora la società rossoblù dovrà gestire gli equilibri tra un rigoroso bilancio finanziario e l’entusiasmo della piazza pronto a sottoscrivere a scatola chiusa migliaia di abbonamenti con quota 25000 che pare facilmente raggiungibile senza scommettere sul “nome” da mercato.

Diciamo la verità, la società non è immobile nelle trattative avendo di già bloccato alcuni giocatori oppure riconfermandone altri come Dragusin, Badelj, e Strootman, senza dimenticare i nuovi arrivi Martin (parametro zero) e il portiere Leali.

In fondo siamo all’inizio e il tempo per rinforzarsi dunque c’è tutto, magari alla ricerca di Piatek e non solo. Ma appunto raccontandola senza veli, all’arrivo di 777 Partners era subentrata l’idea dell’opulenza e degli investimenti alla bazooka di Draghi in piena crisi finanziaria europea o all’americana definendo interventi alla “Helicopter money”, ovvero soldi a pioggia per acquistare tutto il possibile. Era comprensibilmente il sogno di tutti di fronte ai dollari dello zio Sam.

Invece sia il presidente Zangrillo che l’ad Blazquez pochi giorni dopo la festa promozione hanno parlato di sostenibilità del club come obiettivo primario, che non vuol dire miseria nera ma che mette nel mirino per prima cosa i conti in ordine del Grifone. Ecco la “Realpolitik” del Genoa. Va bene sognare, ma con i piedi per terra.

La lezione del cancelliere Bismarck che fu il primo in politica a sposare il realismo, può essere adottata per il mondo genoano, che ha una tifoseria importante e poco clonabile sul piano della fedeltà e della passione. Per questo la coabitazione della Realpolitik con, dall’altra parte, un popolo che chiede di vincere, diventa una sfida all’insegna della maturità tra le parti. L’equilibrismo è d’obbligo e il disegno sembra già definito se i genoani in coda per abbonarsi hanno accettato di sottoscrivere l’assestamento in A e poi si vedrà.

Di sicuro questa dirigenza non illude nessuno e quindi è apprezzata. “Only one year” lo slogan vincente per scappare dalla B lascia spazio a “Bellissima” lo spot del tesseramento per dare forza a Gilardino e ai suoi per cogliere una salvezza, magari senza infarti. Poi l’asticella potrà’ alzarsi ma sempre nel solco di una prevalente politica reale e concreta mirando agli interessi primari senza fare leva sugli entusiasmi comunque ben accetti.

Ho conosciuto Gianni Panconi nel suo ruolo di consulente aziendale. A dire il vero la prima volta lo vidi studente, era nell'anno della maturità alla Residenza delle Peschiere ed io ero stato invitato a spiegare ai ragazzi il mondo della comunicazione.

Panconi è preparatissimo, è stato nelle primarie società di consulenza aziendale internazionali. Ha sempre lavorato in modo riservato ma ritengo che senza di lui non si sarebbe mai arrivati al salvataggio della Samp che sembrava quasi impossibile.

E come le poche persone serie e che hanno innato il senso del dovere, ha lottato sino all'ottenimento del risultato finale senza mai abbandonare la nave nella tempesta peggiore.

Grazie Gianni per quanto hai fatto e ora con tutti i diritti che ti sei guadagnato "sul campo", ti auguro un grande successo personale che meriti ed anche magari un po' di serenità dopo anni molto difficili.

Dovremmo guardare con attenzione a quello che sta succedendo in Francia: non sempre l'attualità assume i contorni di una sfera di cristallo che consente a un popolo di prevedere il proprio futuro. I disordini d'oltralpe, invece, lo sono e vanno analizzati con cura.

I pesanti scontri che nelle principali città francesi sono usciti dalle banlieue e hanno invaso i centri cittadini sono la conseguenza di un malessere profondo che coinvolge una parte specifica della popolazione, quella straniera e più povera. Non è la prima volta che in Francia accadono simili disordini che in passato hanno coinvolto anche le periferie di Londra, in particolare l'area di Tottenham.

Quello che sta succedendo, e che è già successo, non è troppo difficile da interpretare: la Francia, come la Gran Bretagna, ha una radicata storia di immigrazione dai Paesi africani e asiatici; le conquiste coloniali, l'imposizione della lingua, del sistema scolastico e della cultura francese, hanno generato un rapporto stretto tra Parigi e le sue colonie che si è trasformato poi in un inevitabile e costante flusso migratorio. Le prime generazioni, e spesso anche le seconde, hanno mantenuti solidi contatti culturali con i propri Paesi d'origine che si sono via via perduti nelle generazioni successive.

Ne è nata una koinè alternativa, che non è del tutto francese e nemmeno arabo-africana: è simile a quello che è successo da noi tra gli emigrati del meridione saliti al nord per lavorare, ma con una significativa differenza, una distorta concezione teologica che sfrutta la religione come simbolo identitario. Gli abitanti delle periferie sono o si sentono poveri ed emarginati, una condizione che ritengono collegata alle loro origini straniere e alla loro differente religiosità. Rispetto a ciò che accade negli Stati Uniti, dove la questione non è religiosa ma meramente collegata al colore della pelle, in Francia e Gran Bretagna si è sviluppata una contrapposizione che è culturale nel senso più profondo del temine.

È una condizione che noi oggi conosciamo poco perché la nostra migrazione è decisamente più recente: chi parte dal centro dell'Africa a piedi e rischia la vita per mesi fino a quando un incerto barcone lo conduce sulle nostre coste è un individuo molto motivato, con un piano di vita preciso, sulle spalle porta uno zainetto povero di oggetti ma ricchissimo di sogni. I loro figli e i loro nipoti vedono le cose in modo decisamente meno netto: in Italia non siamo ancora arrivati a quel punto nell'evoluzione del fenomeno ma ci arriveremo prima di quanto si possa immaginare.

Tempo fa ho partecipato a un evento con alcune scuole elementari genovesi e sono rimasto colpito dal tasso di bambini di origine straniera in quelle giovani classi: è stato un bellissimo effetto perché i ragazzini parlavano tutti la stessa lingua, avevano lo stesso accento, giocavano e si divertivano allo stesso modo. Erano certamente tutti uguali, rappresentavano l'integrazione dispiegata su un palco.

È quello che succederà dopo che dovrà essere gestito con intelligenza, mostrando di avere appresa la lezione francese. Come si fa ad evitare che questi bimbi, quando saranno adolescenti e poi uomini, sviluppino un odio nei confronti del Paese che li ospita?

Il primo “no assoluto” è la costruzione di periferie giganti e degradate: a Genova si sta già seguendo questa strada, l'abbattimento della diga di Begato è un fatto positivo che va in questa direzione. I cittadini si devono mescolare per quanto possibile: la divisione della città in quartieri costosi e meno costosi è una inevitabile legge del mercato ma l'edilizia popolare deve essere capace di spargere la propria offerta a macchia di leopardo. Ciò consentirà ai bambini di origine straniera di crescere in un ambiente realmente cosmopolita, al contrario di quanto avverrebbe in una scuola con pochissimi bimbi italiani.

Vi è poi un secondo aspetto, più culturale e in un certo senso filosofico: gli italiani devono saper gestire l'integrazione senza dimenticare il proprio percorso. Non è possibile integrare uno straniero senza essere consci di quello che siamo e del perché siamo diventati così. Quando nel 2019 l'allora presidente iraniano Rohani visitò Roma fu deciso di coprire le nudità delle statue sul Campidoglio: un'ingenuità ridicola che fu stigmatizzata dallo stesso presidente in visita che disse di non avere mai chiesto nulla del genere. Non si può commettere lo stesso errore con i crocifissi, i presepi o gli alberi di Natale: ogni Paese ha le proprie tradizioni che affondano le loro radici in una storia millenaria. E' l'incontro tra queste storie che crea il sincretismo religioso e il sinecismo dei popoli, non la negazione di quello che le persone sentono di essere.

L'immigrazione è un fenomeno connaturato all'esistenza umana: i popoli migrano per necessità, per mutate condizioni o anche solo per il gusto della scoperta. Le società che ne derivano sono sempre più ricche e attrezzate di quanto non fossero prima di mescolarsi ma il processo non va lasciato al caso.

Non bisogna costruire una generazione che pensa che la polizia gli spari addosso perché neri o musulmani: Nahel, ammazzato a Nanterre, forse l'ha pensato. Di sicuro lo hanno pensato i suoi amici. In Italia non deve mai pensarlo nessuno e su questo dobbiamo lavorare ora.

 

GENOVA -Accade da sempre negli ecopunti, i locali dei bidoni della spazzatura del centro storico (dove vivo), ma sta succedendo anche nei cassonetti della spazzatura di nuova generazione disseminati nel resto di Genova, come a San Fruttuoso dove mi reco spesso: mucchi di sacchetti della spazzatura accatastati, buttati sui bidoni o anche per terra, carta, vetro, plastica, indifferenziata, umido come succedeva solo tanti anni fa quando c'era lo sciopero degli operatori ecologici dell'Amiu.

La vergogna è che i cassonetti seppelliti dalla spazzatura non sono strapieni come si potrebbe immaginare, ma desolatamente vuoti. I cittadini non vogliono fare il minimo sforzo di spingere i sacchetti nelle bocchette o alzare il bidone o anche solo schiacciare la leva a pedale e sistematicamente in tanti, troppi, abbandono la rumenta sopra, anzi, quasi sempre, se non visti, la lanciano.

E non azzardatevi a dire che è colpa dei soliti extracomunitari perchè questa deprecabile abitudine è bipartisan, non risparmia nessuno.

La riprova l'altro giorno in un ecopunto di vico Sauli nel centro storico: vedo davanti a me un elegante cinquantenne genovese in giacca e cravatta che conosco di vista. Quando io sto per entrare lo scorgo con la coda dell'occhio mentre abbandona due sacchetti sul cassonetto della plastica ed esce veloce. Io immagino che il bidone deve essere strapieno. E siccome devo riciclare anch'io un sacchetto di plastica alzo il cassonetto. Quello che vedo è quasi un pugno allo stomaco, non esagero: il contenitore è vuoto, vuoto! Ma tutt'attorno c'è un cimitero di sacchetti gettati più o meno sopra e ai piedi del cassonetto. Butto il mio sacchetto (nel cassonetto) e con un filo di rabbia mi guardo intorno alla ricerca del cittadino così ben vestito: l'ho visto girare l'angolo, affretto il passo, vorrei dirgliene due e chiedere con gentilezza perché non ha fatto il minimo di sforzo di aprire il cassonetto.

Ma è come sparito nel dedalo dei vicoli, fuggito come un ladro, scappato come uno scippatore di civiltà che forse ogni giorno in ufficio o sui bus pontifica e accusa tutti e tutto perché la città è sporca, per la maleducazione di chi non lascia il posto agli anziani sul 18 sbarrato, di chi non pulisce la popò del proprio cane.

Questo post è dedicato a te chiacchierone da bar o compulsivo schiavo dei social che hai l'abitudine di lasciare il sacchetto al fianco o sopra, o sotto i bidoni: nel leggere queste poche righe vergognati e ringrazia che non sono e non neppure l'ambizione di essere sindaco perchè dedicherei ogni giorno due operatori di ogni quartiere per dare caccia a quelli che sporcano la nostra città, dimenticano di pulire le deiezioni del proprio cane, gettano le cicche per terra o peggio nei tombini (ma perché ?), o amano disfarsi dei sacchetti della spazzatura gettandola sopra i cassonetti. Come hai fatto tu elegante e insospettabile cinquantenne in giacca e cravatta dell'ecopunto di vico Sauli.

 

ps, la foto è stata scattata in un giorno fortunato

Francesca Clapcich è la prima italiana nella storia a vincere The Ocean Race, la regata che gira intorno al mondo. Non la prima donna che è anche italiana, solo la prima italiana.

Io non so niente di vela ma anche solo pensare di rimanere sei mesi su una barca vela mentre viaggio in mezzo all'oceano evitando orche assassine mi spaventa. Figuriamoci se siamo nel bel mezzo di una gara, anzi LA gara del mondo della vela.

Un'impresa incredibile, anche per chi di questo sport non se ne capisce niente. E così quando la notizia è stata diligentemente diffusa su ogni piattaforma che il 2023 consente e il primo commento è stato "Questa farà i panini a bordo", mi sono stupita. Parliamo di una atleta che è stata due volte alle Olimpiadi, una delle migliori veliste italiane, la prima persona nata in Italia a vincere questa incredibile gara.

Eppure non mi sarei dovuta stupire. Mi risuonano in testa le parole di tanti, amici, colleghi, mio padre, mio fratello e al contempo monta quella sensazione frustrante di fastidio con cui ogni donna, prima o poi, anche se con forme e facce diverse, ha dovuto fare i conti.

Nessuna lezione sul patriarcato che non ho il diritto di fare, quelle le lascio a chi gli stereotipi di genere li studia (sì, esistono), ma solo una riflessione.

Dall'atleta olimpionica pluripremiata che vince e che per qualche cretino - perdonatemi il termine - è quella che fa i panini sulla barca vela con cui ha fatto il giro del mondo a quello che l'altra volta mi ha detto che non sapevo guidare perchè ero una donna (in realtà ero solo sovrappensiero) passando per i 100 euro in meno in busta paga rispetto a colleghi con stesso titolo di studio. Notizia flash: il 77% delle persone che si suicidano in Italia sono uomini.

Elaborando: ci sono diversi studi che trovano una correlazione tra la maggioranza degli uomini che si tolgono la vita e la difficoltà nel farsi curare. Perchè se ci pensate anche il genere maschile, per la società, deve seguire delle regole, imposte, esattamente come le donne. C'è la mamma che sta in cucina e l'uomo che va a lavorare ed è l'unico che porta "la pagnotta" a casa. E allora c'è la pressione economica, sociale, c'è la necessità di rientrare in una scatola quadrata anche quando si è tondi. C'è anche la malattia mentale, che molto spesso è più facile da approcciare per le donne.

Fai l'uomo, non piangere! Non fare la femminuccia, dimostra di essere un vero uomo! I maschi non possono avere paura, non parlano di sentimenti, non si lasciano andare alle smancerie. E poi magari non si curano e si ammazzano.

Altro dato: le vittime uccise in una relazione di coppia (o in famiglia) sono 139 circa all'anno. Trenanove di questi sono uomini mentre gli altri 100, indovinate, donne. Però l'ho sentito dire tra i banchi dell'università che "il femminicidio è sessista perchè anche gli uomini vengono uccisi".

Lo stereotipo di genere esiste, e ha conseguenze devastanti. Perchè la mentalità che ti fa dire che una campionessa come Clapcich è "quella che fa i panini" fa ridere otto uomini su 10 (si parla di 0 su 10 tra il pubblico femminile) ma fa parte di un qualcosa di più grande, di più complesso, che è quello che poi fa registrare nel bel Paese una retribuzione oraria pari a 15 euro per le donne e a 16 euro per gli uomini. Che a sua volta mi vede camminare per strada di sera vestita normalmente con una sola cuffietta invece che due: niente musica ad alto volume, potrei non sentire se qualcuno arriva da dietro. Non per paura di essere derubata, ma di essere violentata.

Secondo uno studio Istat il 39,3% della popolazione italiana ritiene che una donna è in grado di sottrarsi ad un rapporto sessuale se davvero non lo vuole e il 23,9% ritiene che la donna possa provocare la violenza sessuale con il suo modo di vestire. A voi i commenti.

Con gli stereotipi di genere non si scherza, e non fa bene a nessuno. Quindi la prossima volta nessun panino ma solo complimenti per la prima italiana che ha vinto il giro del mondo in barca a vela.