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Maurizio Scala, 'Momo', responsabile del servizio ai senza dimora della Comunità di Sant'Egidio. A breve celebrerà il matrimonio tra due amici conosciuti per strada
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GENOVA - Papà, nonno, pensionato, vedovo e ora a 66 anni sacerdote. Maurizio Scala, per tutti Momo, responsabile del servizio ai senza dimora della Comunità di Sant'Egidio a Genova, è stato ordinato sacerdote nella basilica dell'Annunziata dall'arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi.


Una vita che ricomincia, ma sempre con nel cuore gli ultimi tra gli ultimi, quelli che vivono per strada, persone che hanno perso tutto compresa la speranza e che la Comunità aiuta ogni giorno. Come Francesco e Nicoletta conosciuti per strada, due vite difficili che ora hanno un lavoro e una casa e che hanno deciso di aspettare a sposarsi affinchè potesse celebrare il loro matrimonio proprio l'amico Momo, sempre al loro fianco.

La mitezza, la timidezza di Momo, nella prima mattina da sacerdote in collegamento con Primocanale, sembra ancora più forte come se non capisse perchè intorno a lui e alla sua storia ci sia tutta questa attenzione. Lui, Momo, abituato a lavorare da oltre 40 anni con i più poveri, lui che ha contribuito a fondare il gruppo di Genova della Comunità di Sant'Egidio e che a distanza anche di anni si ricorda le storie di tutti.

"Continuo a essere Momo anche se in abiti diversi - racconta - anche la mia nipotina più piccola ha capito che qualcosa è cambiato ma non può capire ancora cosa, la grande invece che ha 7 anni e ha iniziato il catechismo ha capito che vedrà il nonno sull'altare".

Non trattiene una risata don Maurizio quando racconta come ha accolto al notizia sua figlia Valeria: "E' rimasta stupita un po' come tutti però mi ha detto che è contenta perchè sente che questo passo dà pienezza alla mia vita".

Ma come è arrivata la vocazione? "Mi sono sposato presto, ho avuto una figlia Valeria poi mia moglie Roberta si è ammalata di un tumore cerebrale e per 17 anni abbiamo lottato insieme, sono rimasto vedovo una decina di anni fa, mia figlia mi ha regalato due bellissime nipotine e la vita è continuata sempre al fianco della Comunità di chi aveva bisogno. Poi ho sentito che il Signore mi chiamava a una maggiore generosità, di andare oltre, ho sentito che c'era uno spazio per il futuro oltre alla carità portare la vicinanza del Signore e del Vangelo".

Una storia di generosità e amore straordinaria che Momo racconta in modo semplice ma se si guarda indietro la sua non è di certo stata una vita facile eppure è riuscito a tenere insieme l'impegno accanto ai poveri, la formazione dei giovani, il supporto alla crescita dei gruppi di Sant'Egidio in altre città del Nord Italia con la lunga malattia della moglie, che ha curato in casa fino all’ultimo insieme alla figlia, diventando un riferimento per i giovani e gli adulti della Comunità in Liguria.

In prima fila alla Basilica dell'Annunziata da una parte il papà, la figlia e le due nipotine e dall'altra la famiglia allargata quella dei poveri che incontra alla mensa della Comunità e quelli che incontra ogni giorno nel servizio serale rivolto ai senza fissa dimora.


Raggiante, don Maurizio, ha ricordato come la sua vocazione sia nata dalla lunga esperienza di incontro con i poveri insieme a Sant'Egidio.

"Vorrei tenere insieme il sacramento dell'altare con quello dei poveri - ha spiegato - perché essere sacerdote vuol dire per me fare sentire la vicinanza di Dio a tutti, soprattutto a chi sente il peso delle ferite della vita".

Diventare sacerdote a 66 anni non è consueto e per l'arcivescovo di Bologna il cardinale Zuppi: "La scelta è arrivata in una stagione della vita in cui generalmente contano di più i bilanci che i progetti, quando le ferite della vita sconsigliano grandi cambiamenti".

"Sento che non sono troppo anziano e umilmente sento di avere ancora tempo e forza per fare oltre al servizio ai poveri anche quello all'altare".

Una parentesi di stupore e attesa di tutti che ora in qualche modo si chiude per tornare al lavoro tra i poveri, tra chi è più in difficoltà numeri in aumento a causa della pandemia: "Il bisogno alimentare è aumentato, ma in questi mesi è aumentata anche il senso di emarginazione, abbandono e solitudine ma c'è una mancanza di rapporti e il nostro lavoro è quello di cercare di aiutarci a vicenda per uscire da questa situazione".