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GENOVA - Lunghi applausi e tutta la platea del Teatro Duse in piedi per accogliere la senatrice a vita Liliana Segre, a Genova per ricevere il premio Ipazia - Eccellenza al femminile. 92 anni, sopravvissuta alla Shoah, presidente della commissione parlamentare straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, testimone che negli anni - una volta diventata nonna - ha incontrato migliaia di giovani portando avanti "il suo instancabile impegno e per la sua preziosa testimonianza in difesa del valore della memoria, della pace e della democrazia, contro ogni forma d'odio". Il premio, intitolato alla scienza del V secolo uccisa per ragioni di integralismo culturale e religioso, è stato istituito nel 2010 dalla direttrice artistica del festival, Consuelo Barilari. L'ultima volta a Genova di Liliana Segre era stata il 9 ottobre del 2018, ospite del teatro Carlo Felice per l'incontro con le scuole della Liguria organizzato dall'Istituto ligure per la storia della Resistenza, che Primocanale aveva trasmesso integralmente.

Ma per Liliana Segre è stata anche l'occasione per ripercorrere, tra la memoria del passato e la drammatica attualità, i momenti più duri della sua vita, anche grazie alle pagine lette e interpretate dagli allievi della scuola di teatro Mariangela Melato, con un'estrema lucidità. Da quando a 8 anni era stata espulsa da scuola, con la maestra sulla soglia della porta di casa - quasi infastidita - che nel suo ricordo nitido esclama: "Non le ho mica fatte io le leggi razziali" a quella marcia della morte, a 14 anni, per centinaia e centinaia di km e alla scelta più difficile di tutte che le ha cambiato la vita, di fronte alla pistola caduta ad una delle SS. E' lì che ha scelto la pace e non la guerra, l'integrità e non la vendetta, il non cedere e diventare come il proprio carnefice. Poi è tornata la vita, l'amore, i figli: solo quando è diventata nonna ha sentito la responsabilità di affrontare quel dolore e di provare a raccontarlo, pur senza trovare le parole per descrivere per davvero l'orrore di Auschwitz

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"La banalità del male", intitola così Hanna Arendt il libro dedicato al processo di Adolf Eichmann. E la banalità per Liliana Segre sta nel fatto che il male non lo vedi. "Il mostro non appare come nelle favole, brutto e cattivo. Le SS avevano tutti l'aspetto di persone come eravamo noi". Lo stesso avviene oggi, tracciando un parallelismo con il caso di Giulia Cecchettin, la giovane 22enne uccisa dall'ex fidanzato Filippo Turetta, che ha sconvolto l'Italia. 

"I genitori di questo ragazzo, un assassino, ma un poveraccio qualsiasi, lo definivano prima di sapere dell'omicidio come un bravo ragazzo e infatti vedi una faccia che non ha mica i denti del vampiro, è un ragazzo qualsiasi che si trasforma. E tutti noi cerchiamo di capire qual è e perché avvenga questa trasformazione, ma non mi so dare una risposta. Perché aveva dei problemi? Perché la donna era più forte di lui? Non esiste un motivo che giustifichi un massacro del genere"

Ma il dolore più grande per Liliana Segre sta nell'osservare quanto sta accadendo in Medio Oriente: "Vedere i bambini toccati perché i genitori sono nemici tra loro o vederli allevati in modo che siano a loro volta nemici da adulti, è il più grande dolore mai provato.

"Dal 7 ottobre le cose orribili che sono avvenute, da nonna, mi fanno sentire una cosa che è più forte di me e che ho dalla mattina alla sera: i bambini non devono essere toccati neanche con una foglia, sono sacri, di qualunque colore, etnia, religione. Sono creature meravigliose, sono un miracolo: provo un dolore immenso e grande pessimismo per il futuro"

E tra le sue paure c'è anche quella che le persone dimentichino quanto accaduto: come esempio portato alle domande di Lucia Annunziata, che ha condotto la chiacchierata prima della premiazione, ha fatto quello del genocidio armeno avvenuto nel 1915. Nel 2015, cento anni dopo, non se n'è quasi parlato. Ecco perché il timore è che una volta scomparsi i testimoni che hanno vissuto sulla propria pelle le torture della Shoah, ci si dimentichi quanto accaduto. La senatrice ha dedicato il premio, un ciondolo con l'effigie di Ipazia ricevuto dalle mani del sindaco Bucci e del governatore Toti, a Luciana Sacerdote, ragazza ebrea cresciuta a Genova e compagna di Segre ad Auschwitz: "Una ragazza la cui vita è stata una continua sofferenza e a cui io ho voluto molto bene".