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Il corteo è partito dopo le 8,30 dallo stabilimento di Cornigliano poi l'arrivo alla rotonda di via Pieragostini e il ritorno indietro. Martedì l'incontro tra le rsu nazionali e il governo. A Genova mercoledì tavolo col presidente di Regione Liguria Toti
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GENOVA - Sciopero di 24 ore allo stabilimento ex Ilva di Genova (oggi Acciaierie d'Italia), un corteo che ha interessato il ponente della città. Al grido "basta cassa" gli operai chiedono chiarezza sul futuro aziendale. Mercoledì è in programma un incontro tra i sindacati e il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti (Leggi qui). Nel frattempo fino a martedì mattina stop al lavoro in tutto lo stabilimento genovese con i lavoratori che chiedono maggiore sicurezza e il rilancio della produzione nello stabilimento di Cornigliano. Martedì 3 ottobre invece si incontreranno i nazionali "che gestiranno le mobilitazioni più forti indirizzate verso Roma". 

Subito dopo la chiusura dell'assemblea i lavoratori si sono mossi in corteo, una volta passata la rotonda di Cornigliano ha proseguito per via la via Guido Rossa in direzione ponente, quindi ha percorso la rampa di uscita e ha attraversato tutta via Cornigliano, poi via Ansaldo, il ponte di Cornigliano e via Pieragostini. Una volta arrivati alla rotonda che separa con Sampierdarena il ritorno indietro con i manifestanti che hanno percorso le stesse strade dell'andata in direzione opposta fino al rientro in fabbrica. A guidare il corteo due trattori gli striscioni "Basta cassa" e "Meglio una lotta disperata che vivere una disperazione senza lotta".

 "Oggi i lavoratori di Acciaierie d’Italia sono in sciopero per chiamare in causa il governo ed esigere chiarezza sulla trattativa in corso tra socio pubblico e Mittal - spiega Stefano Bonazzi segretario generale della Fiom Cgil Genova -. A noi non interessa chi ha la maggioranza azionaria, chi è il padrone, ma è urgente che si facciano immediatamente gli investimenti economici necessari per mettere in sicurezza gli impianti del sito genovese così come degli altri siti, a partire da Taranto. La questione sicurezza ormai è fuori controllo, nonostante le denunce continue a tutte le istituzioni competenti. Devono essere aggiustati e messi in sicurezza il carroponte del decatreno, le gru, tra cui quelle del molo e tutti i mezzi necessari per la produzione. Oggi il mercato dell'acciaio ha potenzialità enormi e quindi non è più ammissibile l'utilizzo della cassa integrazione ma occorre avviare a pieno regime gli impianti".

“La manifestazione di oggi è per dire basta a questa situazione paradossale che stiamo vivendo da tempo, dove dovremmo produrre di più invece siamo ai minimi storici e viene aumentata la Cassa integrazione  - commentano il segretario generale Fim Cisl Liguria Christian Venzano e il coordinatore Acciaierie d’Italia Rsu Fim Cisl Nicola Appice -. È inaccettabile questo comportamento dell’azienda  e il Governo deve esporsi essendo azionista di un azienda strategica per il paese che produce acciaio e che viene ridotta senza motivo ai minimi storici su tutto e su tutti i siti. Non abbiamo evidenza di dove sono finiti i 680 milioni, non ci sono stati gli  investimenti dichiarati, non arrivano i pezzi e non si fanno le manutenzioni, mettendo fortemente a rischio la sicurezza dei lavoratori. Bene l’incontro di mercoledì col presidente della Regione Toti e che adesso anche le istituzioni locali si espongano in maniera chiara sull’importanza della siderurgia nel nostro paese e per l’importanza del sito di Genova".

A livello nazionale l'ex Ilva non vive sogni sereni, per portare avanti il processo di de-carbonizzazione sono necessari 5,5 miliardi di euro e intanto per il 2023 erano stati annunciate 4 milioni di tonnellate ma ci si fermerà a 3 milioni. Nel 2024 il piano prevede di arrivare a 5 milioni di tonnellate, ma a queste condizioni i sindacati vedono il dato lontano da raggiungere.

A Genova c'è anche e soprattutto un problema di sicurezza. "Siamo arrivati a un punto dove c'è da aver paura a venire a lavorare perché ogni giorno abbiamo degli accidentali importanti, dobbiamo venire qui e avere le antenne dritte e questa è una situazione che non può essere più sopportata: non possiamo andare a lavorare e rischiare di farci male o rischiare la vita, non ce lo possiamo permettere - le parole a Primocanale di Nicola Appice, Rsu Fim Cisl Acciaierie d'Italia -. Le buste paga si sono ridotte in modo notevole e quindi ci stanno riducendo alla povertà con la cassa integrazione. Non riusciamo più ad arrivare alla fine del mese e questa cassa integrazione sta rovinando le famiglie. Il nostro è un urlo di disperazione verso le istituzioni, perché a livello nazionale non si sono chiariti aspetti fondamentali per il futuro dei lavoratori. È necessario avere delle garanzie che la siderurgia sia ancora un asset importante per il nostro Paese".

"Tutto il sistema Acciaierie d'Italia è fermo, paralizzato. Abbiamo chiesto la solidarietà della città e chiederemo alla politica locale e nazionale di farsi sentire e di battere un colpo - ha spiegato a Primocanale Armando Palombo, Rsu Fiom Cgil Genova -. Noi continueremo finché avremo energie. Abbiamo impianti nuovi fatti dall'allora Riva sullo zincato che potrebbero produrre fino a un milione di tonnellate e invece non arriveremo neanche a 200 mila. A noi che ci sia lo Stato o il privato non interessa nulla, loro litigato ma il risultante è che noi siamo fermi al palo". 

La presenza negli scorsi giorni dell'amministratore delegato di Acciaierie d'Italia Lucia Morselli nello stabilimento di Taranto in sciopero non ha tranquillizzato gli animi, anzi. Per questo è partita una lettera diretta al governo Meloni e ai suoi ministri per chiedere la convocazione urgente di un tavolo. Attualmente Mittal controlla il 62% di Acciaierie Italia e un altro 32% è in mano alla società del tesoro Invitalia controllata dallo Stato. L'opzione di riportare il gruppo sotto il controllo governativo va sfumando. La produzione di Genova Cornigliano è direttamente collegata a quanto accade a Taranto, senza materiale dal polo centrale anche Genova rischia di restare al palo. A inizio estate i sindacati hanno denunciato la mancanza di pezzi di ricambio, fatto che genera il fermo dell'impianto, inoltre è sotto la produzione prevista la banda stagnata, fondamentale per lo stabilimento di Cornigliano perché è l'unico in Italia capace di produrla.  

Il coordinatore regionale in Liguria della Uilm Antonio Apa spiega: "Occorrono piani industriali seri e rapporti tra le sigle sindacali leali per portare avanti obiettivi comuni e un'azione incisiva. Ora c'è di nuovo una trattativa con Mittal, ma questa gente andrebbe cacciata: non hanno portato soluzioni in termini produttivi, non è stato riattivato l'altoforno 5, la siderurgia rischia di fermarsi, non sono state raggiunte le tonnellate di acciaio previste. Per Genova c'è poi il discorso dell'accordo di programma che è stato mitizzato e che ha fatto dei disastri. Da un organico di 2 mila persone siamo passati a circa 900. Poi non è stata rispettata l'evoluzione della siderurgia a Genova con la verticalizzazione del freddo, quello di Cornigliano è uno stabilimento che ha bisogno di circa 300-400 milioni di euro di intervento. Bisogna smettere di fare marce e marcette, questo è un problema solo politico, o si risolve a quel livello o altrimenti rischiamo di perdere un apparato industriale strategico del Paese" conclude Apa.

I sindacati denunciano che "nonostante il finanziamento erogato dallo Stato a inizio anno, il management pubblico-privato aziendale non sta mantenendo nessuno degli impegni presi sui volumi produttivi, gli investimenti, il funzionamento e la manutenzione degli impianti, sul pagamento delle ditte di appalto", questo un passaggio della lettera indirizzata al ministro dell'Economia e Finanze Giancarlo Giorgetti, a quello delle Imprese e Made in Italy Adolfo Urso, a quello del Lavoro Marina Elvira Calderone, a quello degli Affari Europei Raffaele Fitto e al ministro dell'Ambiente e Sicurezza energetica Giliberto Picchetto Fratin.

 

 

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