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Per decifrare lo stato della malattia arruolati i cacciatori che però non potranno sparare nè rimuovere le carcasse
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GENOVA- La regione Liguria arruola i cacciatori, e non solo, per setacciare rintracciare le carcasse dei cinghiali uccisi dalla peste suina africana: è trapelato dal primo summit della task force coordinata oggi nella sede della Regione Liguria dall'assessore alla Caccia e l'Agricoltura Alessandro Piana a cui hanno preso parte fra gli altri il funzionari del settore veterinaria di Alisa, le Asl, l'istituto zooprofilattico e le guardie regionali.

Il piano anti peste suina punta sui cacciatori perché meglio di tutti conoscono territorio e abitudini degli ungulati, cinghialisti che però, per una volta, non potranno sparare se non in caso di necessità. Il fine dei monitoraggio è stabilire quanto sia diffusa la patologia e definire meglio i contorni della zona rossa in cui è scattato il lockdown dei boschi.

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Si parte dai margini dell'area rossa e si va verso l'ipotetico centro del focolaio, in Liguria l'area della valle Scrivia, tra Isola del Cantone, Busalla e Ronco Scrivia. Qui in tutto potrebbero esserci, dalle prime stime, dai 20 mila ai 25 cinghiali. La speranza è quella di ridurre se non cancellare del tutto l'area rossa con il lock down dei boschi che sta gettando in ginocchio l'economia legata alle attività all'aria aperta, dai comuni montani, al trekking, alle guide e ai rifugi.

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Dall'incontro in Regione è filtrato che nei giorni scorsi sono stati trovati molti cinghiali morti anche in Toscana, ma non si sa ancora se sono positivi al virus, e che il ceppo di peste suina africana rilevato negli otto casi per ora rintracciati nell'Ovadese e in Liguria sarebbe arrivato dai Balcani.

Nel primo pomeriggio l'assessore Piana e gli altri tecnici e amministratori che hanno preso parte al summit in regione hanno spiegato i dettagli di quanto emerso nell'incontro.

"Entro mercoledì la Regione, per aiutare a interpretare l'ordinanza ministeriale, farà un vademecum per spiegare ai cittadini cosa si può fare e non si può nella zona rossa"

ha spiegato il presidente di Regione Liguria e assessore alla sanità Giovanni Toti. "Entro un mese potremo avere il primo quadro della situazione, dai primi riscontri non sembra che la pandemia sia molto estesa, ma è prematuro prevedere ora cosa troveremo nell'operazione di monitoraggio della zona rossa." Durante il vertice di questa mattina si è anche valutato anche il tema dei ristori, fondamentali per indennizzare per soggetti penalizzati dalla zona delimitata dall'ordinanza ministeriale:"Entro tre settimane sarà completato il piano di monitoraggio ivi compreso un piano di abbattimento selettivo dei capi, che dovrà poi essere autorizzato dalla Comunità europea e dal Governo - è la road map illustrata dal presidente Toti - Abbiamo già chiesto al Governo una serie di risarcimenti per le attività colpite dai divieti posti in essere"

"La preoccupazione è moltissima - aggiunge Toti - perché si tratta di una malattia molto grave per i suini, per cui non esiste alcun vaccino: in caso di diffusione del virus, le regole europee che tutelano il mercato ci costringerebbero ad azioni altamente impattanti sulla produzione delle carni suine nel nostro paese, un mercato che vale oltre 6 miliardi di euro all’anno. A fronte di questa situazione, l’ordinanza interministeriale era dunque improntata a criteri di massima prudenza, con la perimetrazione di un territorio probabilmente più ampio di quello interessato dal focolaio per evitare che il virus, che ha una fortissima resistenza, possa diffondersi in luoghi in cui gli allevamenti di maiali sono assai più numerosi rispetto al territorio attualmente colpito".

Si stima che siano tra 16 mila e 20 mila i cinghiali a rischio peste suina nei 114 Comuni compresi dall'ordinanza, tra Liguria e Piemonte, dove sarà vietato per sei mesi il trekking, la mountain bike, la raccolta funghi, la caccia e la pesca.

"Il monitoraggio in Liguria come in Piemonte era attivo da tempo, ed è proprio grazie ad esso che è stato possibile riscontrare il primo caso positivo, il 5 gennaio a Ovada – aggiunge Angelo Ferrari, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico di Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta - Al momento sono 8 i casi su circa 50 capi testati. La vera sfida è monitorare con grande attenzione questa ampia area andando a rinvenire le carcasse presenti sul territorio. Saranno particolarmente importanti le prossime 2 settimane perché serviranno a delimitare con maggiore precisione l’area infetta. Serve tempo e serve conoscere meglio questo virus, di cui non sappiamo quale sia il grado di patogenicità: più sarà patogeno e più il focolaio ci chiuderà in breve. Non conosciamo la genotipizzazione del virus: sappiamo che non è di origine sarda".

"Il nucleo di esperti che riunisce principalmente Regione, Asl e Istituto Zooprofilattico - spiega il vice presidente con delega all’Agricoltura e Allevamento Alessandro Piana - si è formato sin dalle prime segnalazioni perché il fattore tempo è indispensabile per arginare l’emergenza epidemiologica. La priorità è quella di circoscrivere il fenomeno per scongiurare la trasmissione del virus dalle specie selvatiche agli allevamenti, che nella nostra Regione sono prevalentemente a conduzione familiare e allo stato semi-brado."

"Da domani inizieremo con le battute in collaborazione con gli ambiti di caccia e squadre di cacciatori, senza cani né armi: andremo sul territorio nell’area interessata dall’ordinanza per individuare l’eventuale presenza di cinghiali morti- conclude Roberto Moschi, responsabile del Servizio Veterinaria di Alisa - Lavoriamo anche con le associazioni e società sportive che saranno impiegate nelle aree-parco. Abbiamo preparato un vademecum per le regole da seguire in sicurezza: le persone coinvolte che batteranno le aree, senza toccare gli animali, scatteranno una foto con la geolocalizzazione, e invieranno il tutto al servizio di veterinaria".

 

 

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