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Una lunga chiacchierata con l’architetto sulla città futura che parte dal nuovo Waterfront di Levante
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GENOVA - Risalgo con la funicolare la collina di Vesima per raggiungere lo studio di Renzo Piano, padre dell’architettura contemporanea. Quante volte ho preso questo curioso mezzo di risalita? Tante. Dalla fine degli anni ’70. Piano aveva realizzato con Richard Rogers il Beaubourg di Parigi e Michele Tito, allora direttore del “Secolo XIX” dove lavoravo, mi mandò a intervistarlo.

Su che cosa? “Su tutto se hai davanti Piano!”  Mi ordinò.

Da allora gli incontri con l’architetto sono stati frequenti. Dal centro storico di Genova al progetto per l’aeroporto Kansai di Osaka, dalla Potsdamer di Berlino al santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, dal miracolo del Porto Antico di Genova alla Menhil Collection di Houston, dalla torre di Londra al grattacielo del “New York Times”.

Sono scivolati via oltre quarant’anni e ancora una volta starò a ascoltare il suo racconto, la sua “lezione”.  Sull’architettura, sul futuro delle città, sui “rammendi” indispensabili per sopravvivere, sulla bellezza del paesaggio. E su Genova. La sua Genova. Che sta qua sotto la collina, sul mare dove affondò tra le fiamme la Haven.

Renzo, il Porto antico compie trent’anni. Allora avesti la straordinaria intuizione di fare un’ esposizione dento la città e non fuori come avevano fatto tanti. Scegliesti il vecchio porto. Ora a trent’anni, con il Waterfront di Levante che sta crescendo,  riparliamo di acqua.

“Acqua di mare acqua salata. Il merito di quella scelta non fu soltanto mio, fu collettivo. C’erano con me il sindaco Cerofolini e il grande storico Fernand Braudel. Questa idea di non sprecare niente era una idea ricorrente, Cerofolini mi ripeteva spesso “Chi nu se straggia ninte”, cioè qui a Genova non si spreca niente. L’idea del porto veniva anche dall’essenza parsimoniosa di questa città. Le esposizioni spesso sono momenti di spreco, poi passata la festa si butta via tutto. E il bureau di Parigi capì che dietro questa scelta c’era qualche cosa di nuovo, di rivoluzionario. Una saggezza, una sobrietà. Vivevamo un momento critico nei confronti di queste mostre che erano sprechi. Piacque che una città sobria di natura, parsimoniosa e quasi introversa, ma comunque bella  in maniera molto particolare decidesse di non sprecare nulla. La passione di lavorare sull’acqua l’ho sempre avuta e ammetto che preferisco i progetti sull’acqua e quando non c’è cerco di portarla…  Ora è vero, a trent’anni lo rifacciamo, ma nella vita di una città trent’anni non  sono niente.  Dunque é’ sensato che a Genova il discorso continui e si sposti verso levante e  l’acqua torni là dove è sempre stata fino a quando fu costruita la Fiera.”

Trent’anni fa hai dato l‘acqua ai genovesi che non potevano raggiungere i moli da secoli chiusi da una cancellata e ora la restituisci al levante.

“Però nel porto antico l‘acqua c’era e era nascosta. Qui a levante c’era sessant’anni fa, poi fu fatto il riempimento. In fondo c’era anche la foce del Bisagno. Non portiamo solo acqua del mare, ma anche il verde da terra, perché lì nascerà il più grande parco di Genova secondo solo ai parchi di Nervi. Un parco in piazzale Kennedy fino alla batteria Stella e poi continuerà, perché è sensato che il progetto di collegamento col porto antico continui.”

Quali sono le caratteristiche architettoniche del Waterfront di Levante? Che Genova diventerà?

“Lavorare con l’acqua porta qualche cosa di particolare. L’acqua rende le cose belle. L’ho sempre pensato. Tutto si riflette nell’acqua. Un porto è una città in movimento e l’acqua rende tutto più fluido e piacevole. L’acqua deve arrivare dove può arrivare e il resto lo fa la natura. Poi tra porto antico e Levante ci sarà una connessione. Qui ci vuole la vita e la vita si porta quando c’è un mix di funzioni: negozi, ristoranti, residenze e ci sono i giovani. Genova è stupenda e anche attraente dal punto di vista residenziale. Ci saranno start up di giovani anche  studentati, attività terziarie. Una idea di Genova città di verde, con l’aria pulita, molto più pulita di altre città italiane. Creare un luogo che non è come il porto antico, perché qui ci si abiterà, con un mix funzionale e attività legate alla nautica. Il linguaggio che deve essere poetico, i volumi quasi volano sul terreno perché cresce il senso di trasparenza. A cominciare dai materiali. Il metallo. I tessili che vibrano e si muovono col vento. Saranno edifici che catturano l’energia solare, a basso consumo energetico. Insomma un’ architettura d’acqua e dietro il grande muro di Genova che regge corso Aurelio Saffi, il limite della Genova di pietra, continua con una Genova più leggera e marina. Poi c’è il grande edifico della Fiera che è una forte presenza, ma sarà attorniata e accompagnata da altri edifici con i piedi in  acqua. Acqua che arriva e si insinua tra le mura e la Fiera. Ci sarà un ponte levatoio e altri ponti di collegamento con questa isola. Un complesso articolato nel quale la forza è soprattutto l’acqua”.

E sull’acqua si vive bene…

“L’acqua rende le cose belle e ci appartiene. Genova è di pietra e di acqua, di ardesia, di arenaria. Ma anche di acqua salata, di brezze e sole. Non dimentichiamolo. Una città che si offre su venti chilometri. Metà è Genova di pietra e metà è mare e pesci. E il mare a Genova è a sud e questo significa che la luce è riflessa e viene verso la città. Le onde che si muovono le vedi in controluce. C’è una nuova bellezza della che resta sempre una nobile kasbah. “

La sobrietà è la tua filosofia che hai usato anche nella progettazione del nuovo ponte di San Giorgio, un ponte, ha spesso detto “che chiede il permesso”.

“La sobrietà ci appartiene. Come è immaginabile che una città fatta così, così stretta tra mare e monti non diventi una nave essa stessa. E’ stretta. Come non potrebbe essere parsimoniosa? Non ho mai capto se Genova assomigli ai genovesi o i genovesi assomiglino a  Genova. C’è un rapporto, una simbiosi. Questo rapporto è  la forza delle città e l’architettura deve essere specchio di chi l’ha voluta.”

Le residenze che hai progettato hanno le prue delle navi….

“Sì, ma attenti alle metafore. Nel costruire nel progettare ci si attacca a qualcosa. Così  in ogni posto c’è un genius loci, nascosto. Va colto. Qui attorno c’è vibrazione, ci sono suoni e colori. Un mare in cui si sono consumate culture. Fabrizio in “Creusa de ma” parla di un mare pieno, abitato da pesci, voci e suoni. Per forza ti fa venire in mente qualcosa che non può essere pesante.  Allora pian piano immagini i volumi come vascelli che volano. Se un edificio non tocca terra, (si fa per dire logicamente…) se lo lasci libero, crea un senso di continuità urbana, cogli al di là dell’edificio la vita che prosegue, come con i piani multipli. Così cogli anche la Genova d’acqua.”

Altro elemento difficile è stato accordare il vecchio Palasport o l’edificio di Jean Nouvel che sono assai ingombranti….

“Bisogna sempre lavorare con dei limiti. La realtà ti trattiene. Edifici forti e importanti: il Palasport ha una sua bellezza. Sarà articolato con diverse funzioni. Respirerà con quello che avrà attorno. Nouvel è un elemento forte, ma quando sarà accompagnato dalle residenze e da luoghi vissuti e dal verde cambierà. Poi col tempo la città si modifica. Un'altra presenza sarà la Torre piloti, una presenza strana, che in mezzo all’acqua sale per sessanta metri come una vedetta per chi arriva da mare dopo la Lanterna. Porterà certamente un ricordo tragico. Terribile. Come col ponte. Lavorare su qualcsa che rammenta una tragedia è sempre difficile. Perchè da una parte hai il tremendo ricordo, dall’altra invece hai quello che porti a sostituire. La torre deve avere i caratteri della semplicità fuori da ogni forme di retorica. Una creatura che guarda lontano e accoglie le navi. Poi ci saranno la casa della vela, poi i lavori di altri architetti. Tutto si fa in sintonia con l’acqua con una coerenza. Genova ritrova il suo mare come fece il porto antico. Questo volta ha a che fare con la città moderna. Ci sono viale Brigate Partigiane. Davanti nel dopoguerra c’era il mare. “

E c’è anche corso Italia…

“Di fatto comincia a Boccadasse e viene verso Ponente. L’ultima parte sarà verde e poi ci sarà la connessione col porto antico . Ci vorrà pazienza, ma verrà e l’acqua tornerà a lambire le mura della città. “

E la Sopraelevata.

“E’ un modo trionfale di arrivare a Genova ma anche un luogo di intenso traffico. Il porto sta per essere elettrificato. La Sopraelevata è necessaria, lo sarà ancora. Ma magari nel porto, dal mercato del pesce lì è un po’ complicata…. Se potesse sparire non sarebbe male consentirebbe la continuità del parco e della passeggiata.”

Nella prima intervista che ti feci, dovevi recuperare il quartiere del Molo e suggeristi di mettere gli asili sui tetti dei palazzoni.

 “E’ sempre stata la mia passione. Con Mario Fazio, giornalista e  amico tanto rimpianto avevamo questa passione. Allora lavoravo per l’Unesco. Venivo spesso a Genova . Volevamo lavorare sul centro storico. Il Molo fu una operazione immobiliare del Seicento quando le grandi famiglie si spostarono da lì per andare in centro. Nacque con edifici di due o tre piani. Condannarono i bambini  a crescere al buio innalzando le case. Pensammo di mettere ai piani terra i negozi, poi più su gli uffici, poi le abitazioni e sui tetti le scuole. L’idea piacque all’Unesco. Ma non se ne fece nulla. I centri storici sono la fotografia vivente di milioni di vite vissute.”

Ci salutiamo. L’architetto torna al suo grande tavolo. Risalgo sulla piccola funicolare che scivola giù verso gli scogli. Come si chiama questo luogo? Punta Nave naturalmente!