In una bella inchiesta pubblicata oggi sull’edizione ligure della Repubblica, Pietro Pisano racconta l’agonia della movida genovese. Sei locali che chiudono perché non ce la fanno più. Gli orari rigorosi decisi dal Comune per la chiusura serale hanno stroncato drammaticamente gli affari di questi bar e pub e stanno definitivamente spegnendo le luci nei vicoli, che potranno d’ora in avanti tornare serenamente in mano agli spacciatori e ai punkabbestia che vomiteranno in via San Lorenzo. Si passerà così, dopo l’una e mezza, dalla consumazione di una birra a quella di una siringa di eroina o peggio. E’ una scelta anche questa.
La movida era nata nel 2003 con un’azione intelligente del Comune: facilitare economicamente e burocraticamente l’apertura di localini di tendenza, portare i giovani nel cuore della città vecchia, fare accendere le luci dei carruggi, spente da decenni, stimolare la nascita di piccole imprese. In conclusione, copiare Barcellona che era riuscita a rinascere facendo così. Sono stati anni divertenti. Culturalmente ricchi. Ci sono state come sempre, aperture e chiusure, ma il centro storico è tornato a vivere, è diventato vivace. Genova dei vicoli è finita davvero su tutti i giornali del mondo. Ora si volta pagina.
E’ preoccupante che i vertici comunali non siano allarmati da questa tendenza, da questo tornare indietro. Forse sarebbe più utile che i superconseulenti si occupassero di frenare le chiusure a pioggia dei locali piuttosto che ideare sere genovesi in una città che sta diventando sempre più buia.
I divieti eccessivi fanno chiudere. Che senso ha un locale che distribuisce grappa nei bicchieri di carta? O un pub che all’una abbassa le serrande? Meglio una saracinesca abbassata e davanti a questa un pusher a distribuire le sue dosi.
Magari anche queste in un bicchiere di carta.
Politica
Dalla movida allo spaccio
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