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In origine era il triangolo industriale Ge-Mi-To, Genova-Milan-Torino. Poi, Genova ha perso le sue industrie (di Stato), a Torino è rimasta “solo” la Fiat e Milano, ancorché non più capitale morale d’Italia dopo l’esplosione di Tangentopoli, ha potuto dettare legge. Anche il calcio non si è sottratto a questa logica: mentre Inter e Milan hanno continuato a mietere successi in Italia e in Europa, la Sampdoria è ripiombata in serie B, il Genoa è rotolato addirittura in C, il Toro è stato sfiorato dal fallimento, la Juventus è piombata in serie B strangolata dal Moggismo.

Ma la rotta ha iniziato a invertirsi, se non nell’economia, almeno nel più frivolo mondo del pallone. Nel girone d’andata la sfida Milano-Genova era finita sei a zero in termini di punti, nove a uno in fatto di gol segnati e subìti. Come d’incanto, ieri sera la Superba ha rialzato la testa prendendosi per una volta le luci della ribalta e facendo piangere la Madonnina.

La Sampdoria ha imposto la legge della Lanterna in quel di San Siro, schiantando i campioni del mondo nonostante l’assenza di Cassano; il Genoa ha fermato la corsa dei campioni d’Italia, riportando Borriello al vertice solitario della classifica cannonieri.

Se il calcio, che resta comunque la terza industria di questo Paese, conti tanto o poco, dipende sempre dai punti di vista. Niente, tuttavia, può cancellare il fatto che Genova sia stata riportata alla ribalta delle cronache nazionali più positive attraverso le imprese delle due squadre cittadine che, almeno per una volta, si sono ribellate allo strapotere padano e hanno imposto la legge non del più forte e soprattutto del più ricco ma del più motivato e fantasioso. Nel segno di Gasperini e Mazzarri, novelli profeti laici del sacro fuoco calcistico.