La lezione di Giulio Andreotti sintetizzata nell’intervista a Primocanale che gli ha fatto Davide Lentini mi è parsa esemplare: l’Italia è moderata, in campagna elettorale non promettete paradisi terrestri che non riuscirete a dare, torniamo un po’ all’Italietta di Giolitti. Non è logicamente l’immagine di un Paese in ribasso, modesto, o in ritirata, anzi. Andreotti ha ben chiaro anche il ruolo internazionale dell’Italia, ma si rende conto che oggi un governo deve avere pochi e chiari punti programmatici, obbiettivi raggiungibili in quattro anni cioè in una legislatura.
Nella campagna elettorale ormai cominciata i candidati, però, dovranno avere anche obbiettivi locali. Intendo dire che insieme al programma nazionale, tasse, salari, infrastrutture, welfare, vorremmo dai nostri candidati che purtroppo sceglieranno le segreterie dei partiti, programmi territoriali, non paradisi terrestri, ma cose possibili, realizzabili in un ragionevole arco di tempo. Nelle ultime corse elettorali, per esempio, abbiamo ascoltati tutti o quasi i concorrenti inneggiare al terzo valico. Il risultato è che oggi siamo tornati non al punto di prima, ma addirittura indietro. Le infrastrutture sono l’ossigeno della Liguria, per il porto, per il turismo. Quindi dai concorrenti a Parlamento ci aspettiamo una strategia concreta su alcuni filoni: terzo valico o in ogni caso collegamento con la pianura padana; gronda; futuro dell’aeroporto; autonomia fiscale dei porti; potenziamento ferroviario.
Lasciamo alla politica nazionale i grandi temi suggestivi e ideologici. Stiamo con i piedi per terra. Il legame tra i candidati e il territorio d’appartenenza deve essere il punto forte di un rapporto tra elettore ed eletto che oggi è sempre più dilatato e evanescente.
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