Siamo arrivati alla domanda di rito: chi vincerà il Leone d’oro? Lo sapremo questa sera intorno alle 20 al termine della cerimonia che sancirà la conclusione ufficiale di questa Mostra di Venezia numero 78. Ho visto una quarantina di film tra concorso, fuori concorso e qualche altra cosa qua e là. Ne rivedrò – penso – soltanto una decina. Non molti. Il Lido insomma ha confermato Cannes, e forse non poteva essere diversamente dal momento che le due manifestazioni si sono svolte a un mese e mezzo di distanza l’una dall’altra: il cinema riprende lentamente, anche quello americano che mancava sulla Croisette. Mega-produzioni a parte che là non sono volute andare, perché tutto sommato due titoli molto attesi – ‘Dune’ di Denis Villeneuve e ‘The last duel’ di Ridley Scott – danno allo spettatore quello che si aspetta, tra fantascienza e avventura.
In un concorso così così va sottolineata la bella figura che ha fatto il cinema italiano (anche se non tutto). Nel Daily distribuito quotidianamente dove i critici nazionali e internazionali esprimono i loro giudizi a base delle canoniche stellette (da una a cinque) i nostri film sono ben messi, soprattutto ‘E’ stata la mano di Dio’ di Sorrentino e ‘Qui rido io’ di Martone. Due buone pellicole: la prima autobiografica e personale (dunque sincera e ricca di pudore), la seconda – già in sala a Genova – più effervescente ed esuberante basata com’è sull’istrionica figura di Edoardo Scarpetta (Premio per l’interpretazione a Toni Servillo?)
Personalmente mi è piaciuto di più ‘Freaks out’ di Mainetti, e fossi in giuria mi batterei per quello: racconto d’avventura, romanzo di formazione e riflessione sulla diversità a metà strada tra Tim Burton e l’Armata Brancaleone. C’è poi da segnalare ‘The card counter’ di Paul Schrader, un piccolo gioiello su un ex-militare torturatore che fa il giocatore d’azzardo la cui vita si complica dopo l’incontro con un giovane intenzionato a vendicarsi di un comune nemico. Ancora un film su antieroi tormentati in cerca di redenzione ed espiazione, ricchi solo di dolore e sensi di colpa, pronti ad esplodere. Non male pure ‘La caja’ (La cassa) del venezuelano Lorenzo Vigas, già vincitore del Leone d’oro nel 2015 con ‘Ti guardo’: la storia di un adolescente che vuole riavere i resti del padre trovati in una fossa comune nel deserto e incontra fortuitamente un uomo che presenta un'incredibile somiglianza fisica con il genitore. Una vicenda che è l’occasione per il ritratto amarissimo di un paese dove lo sfruttamento della povera gente è all’ordine del giorno che diventa metafora di un intero continente. Per concludere con il concorso, anche se probabilmente non vincerà nulla, c’è il travolgente e irresistibile ‘Competencia oficial’ diretto a quattro mani dagli argentini Gaston Duprat e Mariano Cohn che affrontano il mondo del cinema attraverso gli scontri tra una regista di culto e due attori di grido molto diversi tra loro.
Le delusioni? Per me innanzi tutto ‘America latina’ dei fratelli D’Innocenzo, film senza senso che ha coinvolto nel baratro anche un ottimo attore come Elio Germano. Poi ‘Spencer’ di Pablo Larrain dove la principessa Diana viene vista con rispetto ma sostanzialmente come un caso psichiatrico o giù di lì e ‘Madres paralelas’ di Almodovar bulimico e irrisolto. Ma la delusione più grande di tutte riguarda l’organizzazione della Biennale per le prenotazioni dei giornalisti che ci ha costretto a tentare di trovare posto alle sei del mattino (e sarebbe il meno) o addirittura ad uscire momentaneamente dalla sala in cui stavamo guardando un film per essere sicuri di poterne vedere un altro tre giorni dopo. Nel 2020 era andato tutto benissimo, quest’anno una brutta figura internazionale. Si sono scusati ma il danno resta.
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Venezia, stasera la premiazione e il cinema italiano spera di non restare a mani vuote
Per i critici nazionali e internazionali buone chance per Sorrentino e Martone
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