In tutto il pandemonio che si è scatenato nei giorni scorsi intorno all'ex Ilva, e in vista del vertice dell'8 luglio a Roma, la cosa che forse mi ha più colpito è l'affermazione della Cisl dopo l'incontro con il ministro del Lavoro Andrea Orlando: "Alle parole seguano i fatti, terremo d'occhio passo per passo gli impegni assunti dal governo".
La Cisl, come gli altri sindacati, è contro la cassa integrazione decisa dall'azienda, giudicandola "incongrua". E tutti chiedono all'esecutivo guidato da Mario Draghi di intervenire. La ragione è semplice: oggi lo Stato ha una quota del 38 per cento, quindi seppur in minoranza qualcosa la può dire e fare, mentre dal maggio del prossimo anno deterrà l'intera proprietà dell'ex Ilva, ribattezzata Acciaierie d'Italia.
In questo scenario, vanno chiarite alcune cose. Intanto che la cassa integrazione arriva nel momento in cui gli affari dell'acciaio vanno a gonfie vele. Nel primo trimestre di quest'anno l'utile netto globale, per Arcelor Mittal, è stato di circa 2,2 miliardi di dollari, contro la perdita di un miliardo di dodici mesi prima. È questo il motivo molto banale per cui i sindacati ritengono "incongrua" la decisione dell'azienda.
Ma questa incongruità è vera solo dal punto di vista dei lavoratori. Per l'azienda, invece, possiede tutti i requisiti della logicità, soprattutto considerando il fatto che l'ex Ilva è ormai completamente fuori dalla prospettiva di Arcelor Mittal. Prima c'era solo il sospetto, alimentato dai pochi investimenti compiuti rispetto al grosso degli impegni assunti, ora siamo alla certezza, visto che quegli stessi investimenti stanno a zero.
Di fronte a questo disastro (annunciato) la politica si straccia le vesti e il governo promette di muoversi. Però, proprio la politica ha avuto la fretta di provare a sbolognare al privato l'ex Ilva, immaginando chissà perché che la multinazionale franco-indiana fosse disponibile a giocare la partita nell'interesse dell'Italia. Ovviamente non era così. E, semmai, Arcelor Mittal aveva come obiettivo la consunzione dell'azienda, secondo la vecchia logica del prendo il concorrente e lo tolgo di mezzo chiudendolo.
Tutto questo nessuno lo sapeva o, almeno, nessuno lo sospettava? Riesce difficile crederlo. E, peraltro, l'alternativa - il governo italiano è andato verso Arcelor Mittal in piena buona fede - è persino peggio. Se le cose stanno così, si può pensare solo una cosa: la politica ha cercato un tampone di corto respiro, Arcelor Mittal appunto, rimandando a tempi migliori la soluzione definitiva. Improbabile che siano migliori, ma quei tempi ormai sono arrivati. Ecco perché il monito della Cisl diventa cruciale: alle parole seguano i fatti. Oppure saremo fuori dall'acciaio, enorme danno economico-industriale, e pagheremo un prezzo salato in termini occupazionali. Cioè una macelleria sociale che non possiamo permetterci. Oltre ad essere profondamente ingiusta.
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Ex Ilva, la politica passi ai fatti oppure sarà macelleria sociale
Cruciale il monito della Cisl
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