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Confesso che tecnicamente era stato un bellissimo lavoro, ma emotivamente una vera sofferenza
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Ho provato a fare un esame di coscienza sui miei sentimenti da genoano conclamato di fronte alle feste, ai libri e a quell’ondata di celebrazioni che i 30 anni dalla vittoria della Samp nel campionato di calcio hanno suscitato nella città. Ho cercato di controllare questi sentimenti, che riportano al punto più alto del successo di quella che ho sempre considerato l’”altra squadra” della città. Mi sono controllato davanti alla sfilata dei vecchi campioni di allora, davanti ai libri sfornati per l’occasione da colleghi e protagonisti, davanti alle cerimonie, ai cori, agli imbandieramenti.

Mi è sembrato di tornare a quella primavera del 1991, a quel campionato della cavalcata vittoriosa, all’impegno di raccontare da giornalista quello che succedeva e da come quella “Bella Stagione” lo fosse, non solo per i sampdoriani, ma per tutta la città. Allora dirigevo il nobile e storico “Lavoro” e il giorno della vittoria definitiva dei “cugini” avevo dedicato le prime dieci pagine del giornale all’evento. Avevo messo la Samp davanti a tutte le notizie del mondo.

Confesso che tecnicamente era stato un bellissimo lavoro, ma emotivamente una vera sofferenza. Mi consolava solo il quarto posto del Genoa, alla fine di un campionato eccezionale, dopo decenni di vacche magre, un piccolo viatico. Mi consolava, appunto, girare per Genova straimbandierata, percorrere via Isonzo e quella strada dietro Quezzi, dove brillavano anche gli striscioni rossoblù.

Il boom della Samp e, dietro, la corsa Uefa del Grifone avevano fatto vendere molte copie di più al giornale e questo contava eccome, anche se non leniva del tutto la sofferenza per il successo altrui, per quell’esaltazione. Confrontarsi con Mantovani per un direttore di altra fede, ma di ricerca professionale obiettiva, non era stato facile. Era un grande uomo, un grande personaggio della città, non solo del calcio, con cui contendere anche aspramente.

Aveva tolto al “Lavoro” la sponsorizzazione del torneo Ravano, perché facevo scrivere sulle nostre pagine Vladimiro Caminiti, grande giornalista di Tuttosport che aveva il vezzo, unico nel panorama nazionale, di criticare Vialli e Mancini. Era duro e frontale, ma accettava il dialogo sempre. Un giorno che un cronista della mia redazione, il sampdorianissimo Stefano Zaino, aveva sbagliato a descrivere il suo abbigliamento in una cronaca dal campo di allenamento, mi spedì in redazione un meraviglioso golf di cachemire azzurro, che era il suo, indossato il giorno dell’errore.

Ricambiai inviandogli subito due cravatte, rigorosamente rossoblù ma di ottima marca, che ovviamente non indossò mai. Invidiavo i suoi campioni che 30 anni dopo mi suscitano gli stessi sentimenti, come se ci avessero fatto appena un gol, anche se allora riconoscevo la loro classe e oggi la loro resilienza blucerchiata. E poi in fondo, in quell’anno meraviglioso per loro, ma anche per Genova e un po’ per il Genoa, in un giorno di novembre, eravamo riusciti a mandargli una bella cartolina a colori, il famoso gol di Branco nel derby.