cronaca

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Amadeus, il conduttore designato, da questo punto di vista è laconico: "O tutti uniti per marzo, oppure rinvio al 2022". Stavolta il Festival di Sanremo produce la sua prima, rovente polemica, ben prima di cominciare. E verte proprio su questo punto: viste le complicazioni provocate dalla pandemia, deve cominciare?




Il pallino passa al sindaco di Sanremo, Alberto Biancheri. Pro-tempore lui e la sua amministrazione hanno le chiavi in tasca di Palazzo Bellevue, il Comune. Che, appunto, detiene la proprietà del Festival della canzone italiana. Basta una loro parola per porre fine alla disputa. E quella parolina, caro sindaco, va pronunciata: no. No a una kermesse in queste condizioni.



Come opportunamente ha già ricordato Andrea Scuderi su Primocanale.it, il Festival è prima di tutto dei sanremesi e degli italiani. Per ragioni professionali ne ho seguito tredici edizioni. Ho toccato con mano quanto questa affermazione, che può apparire di maniera, persino retorica, sia reale, palpabile.


Il Festival è dei sanremesi perché produce reddito, portandosi dietro migliaia di presenze alberghiere, riempiendo gli hotel (non solo quelli del centro), i ristoranti, i bar, i negozi, il Casinò (che in passato fu la sede della rassegna e poi ne ha ospitato eventi collaterali).


E il Festival è degli italiani. Non solo dei ricconi che possono permettersi i costosi biglietti dell'Ariston, è anche degli italiani medi, e persino spiantati, che arrivano a migliaia da tutto il Paese fino alle transenne del teatro, per vedere dal vivo i loro beniamini, siano essi concorrenti della kermesse oppure ospiti.


Tutto questo non è possibile, a causa della pandemia. Ogni forma di assembramento è vietata, dunque non si può fare niente di ciò che renderebbe il Festival uguale, o almeno simile, a se stesso.


Amadeus, invece, vuole andare avanti. E soprattutto vuole farlo la Rai. Entrambi, seppure in modo diverso, mettono in campo una arroganza senza pari e senza giustificazione. Passi per il presentatore, che almeno può avere l'attenuante di difendere il proprio lavoro.


Ma la Rai, la Rai è proprio ingiustificabile. Intanto perché fa la voce grossa con i soldi degli italiani e anche dei sanremesi. È il servizio pubblico televisivo, ci fracassa i maroni quotidianamente con gli appelli anti-covid (giusti, sia chiaro, ma rompiballe lo stesso) e poi ci viene a dire, o ci manda a dire, che è la stessa cosa, di non poter rinviare il Festival.



La ragione per niente nascosta di questo atteggiamento all'apparenza immotivato è, al contrario, evidente e molto motivata: da sempre in Viale Mazzini pensano che il Festival si potrebbe fare molto opportunamente (dal loro punto di vista!) nel chiuso di uno studio televisivo (Amadeus l'ha pure detto che in fondo di questo si tratta...) e con la complicità del Covid potrebbero mettere la prima pietra di tale strampalato, inaccettabile e arrogante pensiero.


Per questa ragione, sindaco Biancheri, lei e la sua amministrazione avete il dovere di rispondere subito no a questa che è una provocazione ed è anche un fatto che costituirebbe un pericolosissimo precedente. Il rinvio non è possibile, perché non si sa come e quando finirà la pandemia? Bene, anzi male. Ma così vanno le cose in questo disgraziatissimo periodo. Dunque, se proprio non si può fare dopo, ma sempre quest'anno, si vada pure al 2022.



Hanno rimandato, o cancellato, europei di calcio, Olimpiadi, gran premi di automobilismo e di motociclismo, competizioni sciistiche e grandi eventi non solo sportivi. Se la politica esiste ancora, nonostante la crisi di governo, batta un colpo. Al di là dei poteri e della proprietà di Palazzo Bellevue, lo facciano tutti, trasversalmente, anche i parlamentari, i liguri e non solo, e la Regione.


Dicano chiaro e tondo, in ogni sede necessaria, che per un anno possiamo fare a meno del Festival semplicemente perché Sanremo non è della Rai, ma è dei sanremesi e degli italiani. Cioè della gente vera, non dei figuranti che Viale Mazzini sta cercando per creare anche un pubblico finto del Festival. Sanremo è Sanremo, non è una cosa che si può taroccare al chiuso di uno studio televisivo.