cultura

Il "Racconto di Genova" è anche una storia di locali, bevande e personaggi /12
6 minuti e 2 secondi di lettura
 Molti caffè sono chiusi, soffocati dal virus. Ma quale luogo più di un caffè può raccontare uomini e storie? Amori e passioni? Delitti e tradimenti? Come i quattro amici al bar di Gino Paoli:” Eravamo quattro amici al bar/Che volevano cambiare il mondo/Destinati a qualche cosa in più/Che a una donna ed un impiego in banca./Si parlava con profondità di anarchia e di libertà/Tra un bicchier di coca ed un caffè/Tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi farò.”

Così il nostro Racconto di Genova presto su Primocanale, comincia il viaggio del caffè con annesse storie in piazza Fossatello nella Liquoreria Marescotti che possiede ancora la cassa d’epoca, dove offrono agli avventori la torta di cui andava ghiotto Giuseppe Mazzini e che la mamma gli preparava quando l’esule ritornava a casa. E in un carteggio con mammà le chiede la ricetta “perché a me piace assai”.

"Pelate, e pestate fine fine tre once di mandorle, tre once di zucchero, fregato prima ad un limone, pestato finissimo. Prendete il succo del limone, poi due gialli d’uovo, mescolate tutto questo, e movete, sbattete il tutto per alcuni minuti, poi, sbattete i due bianchi d’uovo quanto potete en neige, cacciate anche questi nel gran miscuglio, tornate a movere. Ungete una tourtière, con butirro fresco, coprite il fondo della tourtière con pasta sfogliata, ponete il miscuglio sul testo, su questo strato di pasta sfogliata spargete sopra lo zucchero fino, e fate cuocere il tutto al forno". 


Pochi metri più avanti, sulla splendida piazzetta dove s’affaccia la chiesa di San Pancrazio, originaria del Mille e qualcosa, bombardata da quel devastatore del Re Sole, ricostruita nel ‘700 e affidata all’Ordine di Malta (all’interno un trittico con alcune puntate della vita del santo opera del fiammingo Adriaen Isenbrant) , la vecchia osteria di Luciano (ora lui non c’è più) offre il miglior zibibbo del Mediterraneo: ai suoi tavoli si sedeva Colin Firth, professore in cerca di una ricomposizione della sua famiglia, nel film di Winterbottom Una città per ricominciare.

Poi c’è Mangini in piazza Corvetto. Il caffè per incontrare e farsi vedere dove nella saletta che porta il suo nome, il presidente Sandro Pertini si chiudeva per il caffè nelle sue visite genovesi, inseguito dai giornalisti e facendo andar via di testa i poveretti del suo servizio d’ordine. A noi che in redazione allora ascoltavamo la radio della polizia, martellava le orecchie la frase ricorrente della centrale: “La nota personalità ora si sposta….correggo, non più in via, ma in piazza….no ora entra nel caffè Mangini…”. Così si quietava per un’oretta.


A cinquanta metri, in vico Testadoro da Maria mangiava il minestrone a poche lire Fabrizio
(“Maria come sono le trippe?” Risposta universale: “Tutto buono, tutto buono…”), mentre persino il sanguinario Landru che aveva ucciso in Francia dieci donne e un ragazzo e fu ghigliottinato nel 1922 sognava la bevanda (questa volta cioccolata) di un mitico locale di via XX Settembre.


“Così ha detto ai giudici il feroce Landru: Mi dispiace morire per una cosa sola, perché non mi sarà possibile, com’era mio desiderio, di andare a Genova a gustare il famoso ed economico cioccolato al Caffè Regina, dove si radunano le più belle signore della città e il Trio Mantelli svolge della musica paradisiaca”. Lo testimonia lo storico Gian Bino Quinto nel suo prezioso “Le targhe delle strade” edito nel 1981 dai Fratelli Pagano. Sembra che questa frase fosse stata affissa alle pareti del suddetto locale ora scomparso durante il processo al serial killer.


Belle donne e corna, perché, racconta sempre Gian Bino Quinto, nel 1920 al Caffè Margherita stazionava un tal Leo che faceva l’autista proprio a belle signore dell’alta società. Era uno svizzero di vent’anni “partner di emergenza di ballerine di avanspettacolo…”. Descritto come “garbato, bellissimo, femmineo, capelli biondi serici, era molto decorativo e dava tono ai padroni”. Costoro se lo contendevano come status symbol, convinti, poveretti, che lo chauffeur non fosse proprio un macho e quindi non creasse rischi di corna. “Ma c’era una cosa che , tranne i mariti traditi, tutta la città sapeva: Leo, fidato e premuroso, andava molto d’accordo con le signore perché faceva la parte della…cameriera compiacente; le signore e i loro amanti lo compensavano con laute mance”.

Viveva in via Goito questo Leo ospite di una madama che, quando il giovane scomparve nel 1925 trovò nella sua camera un baule zeppo di indumenti femminili rubati alle grandame. Le belle donne genovesi che nell’Ottocento indossavano il mezzaro colorato (meizau) o il bianco pezzotto (pezzottu) , due copricapi femminili, variazione di un unico oggetto, simbolo dell’antica purezza e castità di costumi, che impressionarono molti viaggiatori stranieri. Lo usavano originariamente per entrare in chiesa. “Finché le mogli avevano portato il mezzaro – racconta Giovanni Ansaldo in “Vecchie zie e altri mostri”, – i mariti avevano potuto dormire tranquilli. Finché le ragazze avevano portato in capo il pezzotto, nessuna seduzione era valsa contro la virtù delle donne genovesi”. Ma, aggiunge il celebre giornalista “Questa, la versione tradizionale”. Mentre per monsieur Duparty « Questo velo non le nasconde, non nasconde che molti intrighi…”. E proprio una denuncia del mezzaro, paragonato alla pericolosa maschera veneziana che nasconde ogni peccato fu trovata anche in un biglietto in calice del 1746, mentre Balilla si agitava a Portoria.

"Tu l’as vu dans l’eau/Portant gaiement son mezzaro/La belle Genes/Le visage peint, l’œil brillant/Qui babille et joue en riant/Avec ses chenes". Lo scrive De Musset nel 1835. Lo indossa anche mamma Maria Mazzini nel celebre dagherrotipo. Viso incorniciato dal velo bianco e leggero; non frivolo, in questo caso, ma austero come la sacra benda delle virtù e del dovere”. Torniano al gusto. Racconta della scomparsa Birreria Zolezi di galleria Mazzini sul suo cliccatissimo blog, Miss Fletcher: “Il vivificante Punch Bichof è il risultato di un sapiente mix e sul Lunario si legge che è composto da vino, rum, succo di limone, corteccia d’arancio, china peruviana e altri elementi ottimi per lo stomaco. Certo, il nostro Zolezi tiene per sé i suoi segreti, è ovvio! E non andate a cercare quel Punch da un’altra parte: lo troverete soltanto in Galleria Mazzini nelle eleganti sale di Zolezi dove il servizio gastronomico freddo non manca mai. E poi, cari amici, ricordatevi che tutte le sere da Zolezi potete gustare le deliziose trippe alla genovese, quelle non mancano mai!” Evviva la trippa.


Ma io preferisco il corochinato dell’asinello degli Allara, aperitivo che non tradisce dal 1886…

(12-continua)