salute e medicina

Primocanale nel padiglione 64 del S. Martino di Genova che ha ospitato 149 pazienti in 42 giorni
2 minuti e 53 secondi di lettura
“Il regalo più bello quest’anno è non portare il Covid a casa dei nostri cari è difficile ma è così”. A parlare a Primocanale è Mattia Bixio medico anestesista e rianimatore del Policlinico San Martino di Genova. Dal pronto soccorso si è trovato a coordinare il padiglione 64 quello che ormai tutti conoscono come il ‘Fagiolone’. Ha compiuto 38 anni tra la prima e la seconda ondata.


Duemila metri quadri di spazio open space che hanno ospitato in 42 giorni di attività, dal 15 ottobre al 26 novembre, 149 pazienti di cui 94 uomini e 55 donne. Nella prima fase dell'epidemia fu attivo 32 giorni e si dedicò a 103 pazienti, di cui 63 uomini e 40 donne.


Il paziente più giovane è stato un diciottenne mentre il più anziano aveva 94 anni. La degenza più lunga è durata 29 giorni. Impegnati 20 medici, 37 infermieri e 11 OSS. Da una settimana è chiuso, congelato, in attesa di una possibile nuova ondata che nessuno spera di vivere.


“Abbiamo curato pazienti con insufficienza respiratoria anche grave – spiega il dott. Bixio - significa un supporto fino alla ventilazione non invasiva con paziente sveglio, non sedato, o con casco o con maschera”.


Un open space senza separazione, attività medica e infermieristica a stretto contatto con i malati Covid. Una situazione unica e difficile anche per gli operatori: “La zona pulita era a tre piani sotto – spiega Bixio – significa, come dico spesso, che il bagno per noi operatori era distante 10 minuti dalla svestizione”. Medici e infermieri che per ore, entrati in reparto, hanno lavorato con tute, stivali, doppi guanti, doppie mascherine e visiere. Un reparto con regole diverse e dove non si registrano contagiati tra gli operatori.


“Negli occhi del paziente Covid – racconta Caterina Tassone coordinatore infermieristico - c'è una comunicazione particolarissima, c'è il Covid, l'abbiamo vissuta, l'ho vissuta sul campo e l’hanno vissuta tutti gli operatori all'interno che sono stati eccezionali e colgo l'occasione di ringraziare tutti gli infermieri tutti gli oss, tutti i trasportatori perché loro tutti insieme hanno reso possibile il funzionamento, l'efficienza di questo di questo posto”.


In questa seconda ondata c’è una cosa che ha colpito in particolare il dottor Bixio: “Trovare qualcuno di conosciuto qui, in questi letti, ci ha dato l’idea di quanto questa malattia sia vicina, possa raggiungere tutte le famiglie e quanta cautela ci voglia a rispettare le regole che sembrano banali e ripetitive ma che servono per proteggere i più fragili per poi non ritrovarli qui”.


Gli occhi di Tassone e Bixio non mentono quando diventano lucidi ripensando al dolore e alla sofferenza che hanno visto in questo reparto “una sofferenza tutta insieme” sottolinea Caterina Tassone.




Medici e infermieri non vogliono pensare a una terza ondata, sanno che probabilmente ci sarà, ma ammettono la stanchezza e lo stress che si portano addosso da marzo. Anche se la passione per il lavoro è tanta, c’è il timore di vedere questi letti di nuovo pieni, e dover quindi lasciare i propri reparti.


“Volere bene alle persone a volte vuol dire anche metterle in sicurezza – conclude il dottor Bixio - forse è più importante in questo momento fare il gesto di evitare di mettere in pericolo e correre ad abbracciarle, è difficile da capire ma per noi è così: stare un passo indietro per proteggere chi amiamo”.