salute e medicina

L'allarme dell'Associazione Italiana di Oncologia Medica
2 minuti e 22 secondi di lettura
La pandemia causata dal Covid-19 sta mettendo a rischio la continuità di cura delle persone colpite da neoplasia. A lanciare l'allarme è l'Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom). "In Italia c'è una riduzione netta dei decessi causati da tumore in Italia rispetto alla media europea. In particolare, dal 2015 a oggi si stima una diminuzione complessiva del 5% della mortalita' per cancro nel nostro Paese", riporta l'associazione.

Nelle donne il tumore dello stomaco (-20%), della tiroide (-15%) e dell'esofago (-12%) fanno registrare le riduzioni più importanti. Negli uomini le neoplasie della laringe (-28%), della prostata (-15%) e dello stomaco, colon-retto e polmone (-11%). "La pandemia causata dal Covid-19 però sta mettendo a rischio la continuità di cura delle persone colpite da neoplasia. Non solo. Il decorso dell'infezione può essere peggiore in questa popolazione. Una revisione sistematica di 52 studi, pubblicata sul European Journal of Cancer, ha considerato 18.650 pazienti oncologici colpiti dal virus: 4.243 sono deceduti, con un tasso di mortalità complessivo pari al 25,6%", ribadisce l'Aiom.

Per riuscire a mitigare impatto del Covid sui pazienti oncologici secondo l'associazione occorre puntare su ricerca, accessibilità e organizzazione che "sono i tre pilastri su cui bisogna intervenire per garantire le cure migliori a tutti i cittadini colpiti da neoplasia" Il Covid-19 ha dimostrato "quanto sia necessario rendere subito operative le reti oncologiche regionali in tutto il territorio", afferma Giordano Beretta, presidente Aiom e responsabile di Oncologia medica Humanitas Gavazzeni a Bergamo. "La continuità di cura è stata garantita ai livelli più alti proprio nelle regioni dotate di reti, perché l'accesso ai trattamenti è possibile anche nelle sedi periferiche sulla base di indicazioni condivise, limitando così gli spostamenti dei malati", sottolinea Beretta.

Oggi le reti sono attive in Liguria, Piemonte e Valle D'Aosta, Veneto, Toscana, Umbria, Provincia autonoma di Trento, Puglia e Campania oltre che in Lombardia ed Emilia-Romagna, pur se con configurazioni differenti. "Servono criteri uniformi per rendere operative le reti agendo in quattro direzioni: riduzione delle migrazioni sanitarie, accesso all'innovazione, punti di ingresso nella rete riconosciuti e vicino al domicilio del paziente, integrazione con la medicina del territorio. Quest'ultimo punto è quello risultato più deficitario durante la prima ondata della pandemia, perché troppi pazienti non sono più andati in ospedale per paura del contagio", evidenzia Beretta.

"Al tempo stesso però non sono stati assistiti adeguatamente a livello territoriale. In questi mesi, è stato perso tempo prezioso e non vi sono stati significativi passi in avanti per migliorare l'integrazione fra ospedale e territorio. Le reti consentono il coinvolgimento dei servizi territoriali, anche nei programmi di prevenzione primaria e di screening, che in alcune regioni sono ancora bloccati perché il personale che dovrebbe far partire gli inviti è impegnato nell'emergenza Covid", conclude l'Aiom.