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Il capocannoniere 1991 non abbandona il sogno svanito un anno fa
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Giusto un anno fa, il 7 ottobre, la CalcioInvest di Gianluca Vialli, James Dinan e Alex Knaster annunciava il ritiro dalla trattativa per l'acquisto della Sampdoria, dopo quasi un anno di snervante negoziato.
Ma l'ex campione, oggi capodelegazione della Nazionale, non ha abbandonato il vecchio progetto: "C'è qualcosa che vorrei fare ancora nel calcio, è per questo - dice in una lunga intervista alla "Gazzetta dello Sport" - che vorrei vivere ancora per qualche anno almeno, ho tante cose che voglio fare. Sono felicissimo di fare il capodelegazione dell’Italia. Un giorno mi piacerebbe, dopo aver imparato, fare il presidente di una squadra. Farei un sacco di cavolate, però ho anche tante idee e tante cose che vorrei provare a cambiare, per rendere il calcio uno sport migliore Vorrei che le società di calcio fossero più sostenibili dal punto di vista economico-finanziario, che non fossero sempre sull’orlo del precipizio, che ci fosse più fair play, che le società facessero più per la comunità, che il tifoso non fosse soltanto un cliente ma anche un partner veramente coinvolto nella vita della società. Vorrei creare un ambiente di lavoro in cui ci siano tanti valori e creare una cultura giusta per crescere come uomini e come giocatori. Sono idee un po’ da sognatore, da idealista. Ma so che nello sport bisogna vincere. Se vinci le partite guadagni più soldi, hai più sponsor e se guadagni più soldi puoi investirli nella tua idea di società. È una sfida che mi interessa".

EMOZIONE - "Il momento più bello della mia vita di calciatore è stato vincere lo scudetto con la Samp, sicuramente. Era la prima volta della storia, completavamo un percorso, dimostravamo che davvero Davide può vincere contro Golia. Prima ancora ero nella Cremonese che tornò in A dopo cinquant’anni. Alla Juve, poi, la vittoria in Champions. Ancora oggi la gente mi dice: “Lei è l’ultimo capitano che ha alzato la coppa”. Per un paio d’anni questa cosa mi aveva fatto anche piacere, adesso dico: “Ma come? E tutto il resto che ho fatto, se lo sono dimenticato?”. E poi mi piacerebbe essere stato il capitano che ha vinto la coppa di una società che la coppa se la deve assicurare almeno un anno sì e tre no. Anche da allenatore ho avuto momenti di grande soddisfazione. Vorrei dire che sono stato fortunato, però se lo dico svilisco il c**o che mi sono sempre fatto".

DELUSIONE - "Ho pianto dopo la finale di Champions a Wembley contro il Barcellona, con un goal di Koeman a pochissimo dalla fine. Sapevo che sarebbe stata la mia ultima partita in blucerchiato e quindi c’era, dal punto di vista emozionale, un doppio carico. Anche Roberto era molto deluso e nello spogliatoio, quando tutti se n’erano andati, abbiamo cominciato a piangere. Boskov entrò e ci disse: “Uomini non piangono, quando perdono partita”. Ma io non ci ho mai trovato niente di cui vergognarsi. È giusto e l’ho imparato anche in quest’ultimo periodo. Me lo dice sempre mia moglie: se hai qualcosa dentro, devi farlo venire fuori. Se devi piangere fallo, piangi, emozionati. Sono sempre stato d’accordo con Boskov, ma non in questo caso".

ASSIST MAN - "Sono stato molto fortunato perché ho giocato con Roberto Mancini, Roberto Baggio, Alessandro Del Piero, Gianfranco Zola. Cioè i quattro migliori numeri 10. Manca Totti, perché è più giovane di me. E io mi sono fatto un mazzo cosi per loro, che avevano meno attitudine alla corsa rispetto a me. Però mi hanno sempre ripagato con assist incredibili. Con Roberto scherzo sempre: `Ogni tanto tu buttavi la palla avanti, io la prendevo, la mettevo giù, stop impossibile, controllo surreale, ne scartavo due o tre, facevo gol e il giorno dopo leggevo sui giornali “gol di Vialli, ma grande assist di Mancini”".

NO AL MILAN, SI' ALLA JUVE - "Dissi no al Milan perché ero alla Samp da due anni, ero talmente coinvolto nel progetto per cui non mi sembrava bello lasciare. Poi vivevo bene, ero pieno di amici, appunto i ragazzi della Samp, sole, mare, si mangiava bene. Il Milan era il nuovo Milan di Berlusconi, lo guardavamo con ammirazione. Però se sei innamorato di una ragazza, ne viene un’altra, fai fatica… In effetti non so se sia un paragone calzante, io a volte non ho fatto cosi fatica… Però ero troppo preso dalla Samp, la ragazza di allora. Dissi sì alla Juventus perché avevo ventotto anni, avevamo completato la missione Samp, vinto lo scudetto, giocato la finale di Champions e ritenevo che fosse il momento giusto per cambiare. Eravamo d’accordo con il presidente Mantovani, anche lui voleva monetizzare, magari rifare un po’ la squadra e prepararsi ad un nuovo ciclo".