cronaca

L'ordinazione del nuovo arcivescovo di Genova in piazza della Vittoria
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Marco come Francesco. Il primo gesto da arcivescovo di Genova è un fuoriprogramma: un lungo camminare tra i fedeli di piazza della Vittoria fermandosi ad ascoltare i tanti che hanno rivolto al frate diventato vescovo un augurio, un incoraggiamento, un ricordo o qualcosa di più personale. Proprio lì in mezzo alla gente padre Marco si lascia andare e diventa pastore di Genova.


La mia mente torna alla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro nel 2013 a quella prima volta di Papa Francesco. Nel suo avvicinarsi verso l’altare sulla spiaggia di Copacabana faceva fermare la ‘papamobile’ a ogni bambino, a ogni ragazzo, a chiunque volesse dire qualcosa. Quella stessa attenzione l’ho rivista nel nuovo arcivescovo. L’ascolto e il camminare insieme per lui sono fondamentali, lo ha raccontato nell’unica intervista fino ad ora rilasciata a monsignor Silvio Grilli direttore ufficio comunicazione della Curia, e tra i mille fedeli presenti alla sua ordinazione li ha messi in pratica.


Chi lo conosce bene racconta il nuovo vescovo di Genova come una persona travolgente, concreta, mai banale e che non può che conquistare chi gli sta intorno. Ma anche una persona estremamente profonda e riflessiva e in questo forse c’entra il suo essere psicologo, chissà.


Due volti che ha già mostrato durante la celebrazione: all’inizio molto composto, quasi distaccato con pochi sguardi intorno se non all’arrivo per i suoi familiari e che hanno fatto trapelare tutta la sua commozione. Poi la gioia, l’amicizia verso tanti che sono venuti a condividere questo giorno con lui ma anche i genovesi a cui attraverso le pagine de ‘Il Cittadino’ aveva detto: “Conosciamoci” e così ha fatto alla prima occasione. Forse però proprio il suo desiderio di stare in mezzo alla gente ha fatto dimenticare in alcuni momenti le distanze di sicurezza.


A fine celebrazione è emerso concretamente un altro aspetto per lui fondamentale: l’amicizia. Dopo gli abbracci più emozionanti con i fratelli e i nipoti nei quali si è abbandonato commuovendosi, sono stati decine di amici a volerlo salutare, in tanti l’hanno abbracciato e lui guardando tra il gruppo che si è avvicinato cercava i volti, quegli amici di un vita che per lui sono insostituibili. Si è fermato diversi minuti con veri e propri scambi di battute in dialetto che hanno fatto emergere il suo lato anche goliardico, un secondo fuoriprogramma. Lì in mezzo a loro il suo volto ha cambiato tante espressioni, alcune anche buffe, ma tutte caratterizzate da un grande sorriso.


Stesso sorriso che ha riservato a me quando mi sono avvicinata con il microfono anche se aveva fatto sapere che non avrebbe rilasciato interviste. “So che non ama i giornalisti ma vuole salutare in diretta Genova?” Lui mi stoppa sorridendo e con un forte accento veneto, che durante la funzione non era emerso, mi dice: “Bugia, ti devi confessare…” e scoppia in una risata mentre tocca ripetutamente l’anello un po’ come i novelli sposi quando continuano a giocherellare con la fede. Un viso disteso con occhi sereni che non cambiano quando gli faccio notare che all’inizio era un po’ teso poi si è trasformato: “Sì è vero – conferma - ma poi mi sono sciolto, in fin dei conti è la prima volta che faccio il vescovo”. La seconda battuta in pochi minuti dopo che dall’altare prima del suo discorso e a quasi due ore e mezza dall’inizio aveva detto rivolgendosi ai fedeli: “Abbiate ancora un po’ di pazienza in fondo questo è quello che passa il convento”. Si avvia verso la sacrestia, un amico grida in veneto se aveva fame vista l’ora e lui risponde sempre in dialetto che aveva fame e tutti sorridono. La curiosità mi fa chiedere cosa avrebbe mangiato per cena magari qualcosa di genovese ma mons. Tasca non lo sa lo aspettano in seminario e si vedrà. Prima di salutarlo cerco di strappargli la promessa di un’intervista presto in Curia e lui mi risponde “C’è tempo con calma …”. In fondo lo aveva detto: “Farò poche interviste, non importa cosa penso io ma la Chiesa”.


Il nuovo arcivescovo si allontana e lì con gli occhi lucidi rimangono i fratelli e i nipoti. “Non ci credevamo non ci sembrava possibile” racconta il fratello Fidenzio, 73 anni, tra i primi a essere arrivato in prima fila “noi siamo abituati a vederlo ogni tanto - ricorda - è sempre stato in giro per il mondo”. Che tipo è? “Uno semplice con un motto ora e sempre frate, ecco lui è così uno che non ha un euro e che è così semplice come si vede”. Si commuove Fidenzio gli occhi si riempiono di lacrime, un mix tra l’orgoglio di fratello maggiore e la semplicità contadina che ricorda quella di un altro Francesco a cui il nuovo vescovo - conclude il fratello - ha sempre guardato”.