salute e medicina

Dopo la sperimentazione avviata in Lombardia
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L'Istituto Superiore di Sanità e Aifa sono impegnati insieme nello sviluppo di uno studio nazionale comparativo (randomizzato) e controllato per valutare l'efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti da Covid-19 con metodica unica e standardizzata. "Il plasma dei soggetti guariti viene impiegato per trattare, nell'ambito di questo studio prospettico, malati affetti da forme severe di coronavirus", si legge in una nota. Allo studio partecipano diversi centri, a cominciare da quelli che sin dall'inizio di marzo ne stanno già valutando a livello locale l'efficacia. "Questo progetto consentirà di ottenere evidenze scientifiche solide sul ruolo che può giocare l'infusione di anticorpi in grado di bloccare l'effetto del virus e che sono presenti nel plasma di soggetti guariti dall'infezione da nuovo Coronavirus", conclude la nota dell'Aifa.

la Liguria non vuole farsi trovare impreparata.
"Siamo pronti per attivare la banca regionale per la conservazione del plasma iperimmune", ha annunciato il vicepresidente e assessore regionale alla Sanità, Sonia Viale. "Vi è una somministrazione che viene fatta in un ospedale della Lombardia in corso di valutazione rispetto alla capacità di trattare le persone affette da Covid-19. "Ci sono delle reazioni positive da parte dei pazienti e, quindi, ritengo che anche Regione Liguria debba trovarsi pronta nel momento in cui si dovrà ricorrere all'utilizzo del plasma".

La vicepresidente di Regione Liguria ha detto che "come da studio che mi ha presentato il centro regionale sangue, la prassi prevede la selezione di donatori di sangue guariti dall'infezione o di pazienti guariti che diventano donatori. I protocolli sono rigorosissimi: vi sono delle lavorazioni del plasma iperimmune molto molto rigorose e il nostro ospedale policlinico San Martino è in grado di poterle fare". A tal proposito, "occorrono delle apparecchiature adatte: ne abbiamo una in Liguria che si trova in prova all'ospedale San Paolo di Savona e che potrà essere utilizzata".

La ditta che le fornisce "si è detta disponibile
a offrirla in prova all'ospedale San Martino. Questo non significa che domani mattina sarà possibile curare le persone con questo trattamento. Significa che noi ci prepariamo per avere una banca del plasma in modo tale che, nel momento in cui protocolli singoli di trattamento dei pazienti lo prevedano, possano essere avviati. La grande attenzione su questo tema sicuramente sbloccherà la situazione e, in quel momento, Regione Liguria sarà pronta", ha ribadito Viale.

Sulla questione plasma il professor Bassetti prende tempo. "Il plasma iperimmune potrebbe rappresentare un'arma terapeutica importante per il Covid-19, ma i dati sono ancora limitati, basati su casi anedottici, e non consentono di trarre conclusioni definitive", ha sottolineato con un post su Facebook il direttore della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, ribadendo la sua posizione sul tema, in queste ore al centro di un acceso dibattito. "Sono oltre 50 anni che questa tecnica viene utilizzata. La letteratura a supporto è al momento molto scarsa con pochi pazienti trattati, tutti in fase di malattia avanzata e co-trattati con altri farmaci. Occorrono studi clinici sperimentali e pubblicati su riviste scientifiche di elevato livello di impatto per una valutazione più approfondita", ha concluso Matteo Bassetti.

DI COSA SI TRATTA - Una 'spremuta' di anticorpi di guariti che si sono lasciati alle spalle Covid-19 da dare in dono agli ammalati per aiutarli a sconfiggere a loro volta l'infezione da Sars-Cov-2. Lo scienziato Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, la definisce "una possibile evoluzione della terapia con il plasma iperimmune". Consiste nel 'filtrare', dal plasma delle persone che hanno sconfitto la malattia e sono nella fase della convalescenza, solo i 'soldati' dell'immunità, ottenendo così una sorta di 'concentrato' di anticorpi da infondere ai malati ancora in lotta col nuovo coronavirus. A Bergamo, una delle province più colpite dai contagi nei mesi clou dell'emergenza, è in corso uno studio pilota che sta esplorando questa via.

COME FUNZIONA - La macchina funziona così: "Mettiamo al donatore una cannula in una grossa vena della gamba, quella femorale, dalla quale esce il sangue che entra in un primo filtro per la separazione del plasma. I globuli rossi vengono immediatamente restituiti attraverso la stessa cannula. Il plasma passa invece attraverso un secondo filtro, che cattura tutti gli anticorpi, e ritorna al donatore, il quale può tornare a casa. Il suo sistema immunitario sa cosa fare e riprodurrà gli anticorpi di cui è stato spogliato", spiega Remuzzi.

QUALI SONO I VANTAGGI - "Il vantaggio di questa tecnica è duplice e riguarda sia il donatore che il ricevente", assicurano gli esperti. "Non c'è infatti più bisogno di infondere altro plasma e altre sostanze al donatore per compensare quanto gli è stato tolto e impedire che collassi. Il vantaggio per il ricevente è che non riceve grandi volumi plasma che possono creare problemi in una persona che fa già fatica a respirare. Non c'è inoltre il rischio di reazioni allergiche a tutte le sostanze che ci sono nel plasma e che non servono al paziente, tipo albumina, altre proteine, fattori della coagulazione e così via". Il prelievo dai donatori scatta solo se dai controlli viene confermata la presenza di anticorpi nel loro sangue.

PROCEDURA DA CONFRONTARE - I malati trattati sono stati estubati "molto prima di quanto avviene di solito, se si considera che mediamente si parla di almeno 30 giorni. Di efficacia del trattamento potremo comunque parlare solo con i risultati dello studio in mano. Il progetto di ricerca prevede di confrontare l'andamento dei trattati con pazienti (controlli), paragonabili per età, sesso e caratteristiche di malattia. Quando vedremo che i pazienti che hanno ricevuto gli anticorpi sopravvivono di più e si liberano più rapidamente della ventilazione meccanica, guariscono e vanno a casa sani, avremo dimostrato da un punto di vista statisticamente valido che la procedura è efficace", spiega Piero Ruggenenti, direttore dell'Unità di nefrologia e dialisi dell'Asst Papa Giovanni XXIII e capo Dipartimento di medicina renale all'Irccs Mario Negri.