cronaca

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Finanziamenti a fondo perduto. Solo così si potrà tentare di far sopravvivere aziende, soprattutto piccole, che altrimenti rischiano di essere miseramente uccise dalla crisi economica innescata dal coronavirus. Parlo, in particolare, di bar, ristoranti, alberghi, negozi e attività turistiche che in queste settimane hanno dovuto chiudere per provare a contenere la pandemia.


Non ci sono molti conti da fare: in Liguria sono alcune migliaia le attività che alla riapertura graduale del 4 maggio avranno completamente perso due mesi di incassi. Denari svaniti e che proprio non torneranno più. Non c'è possibilità di alcun recupero, parziale o totale, da realizzare magari in un anno o due. Non ci sono commesse che si possono riacciuffare per i capelli, come ad esempio potrà capitare alla filiera manifatturiera. Non c'è niente da recuperare e c'è, in più, la prospettiva, per ovvie ragioni di sicurezza sanitaria, di vedere i prossimi incassi ridotti del cinquanta e anche del settanta per cento. Una bomba sociale, perché intanto gli affitti e le bollette andranno pagati, perché il fisco rimanda ma non cancella. E se i soldi della sopravvivenza saranno solo in prestito, quando e come le aziende più colpite potranno cominciare a restituirli?

Tutti avranno bisogno di una iniezione di liquidità. Ma bar, ristoranti, alberghi, negozi e attività turistiche ne avranno una esigenza vitale. Vanno bene i bonus, vanno bene i prestiti, ma qui parliamo di una necessità diversa: denaro fresco, denaro subito, denaro gratis che consenta di rimanere in vita. E che, di conseguenza, permetta di salvaguardare i posti di lavoro che altrimenti rischiano di andare in malora. Alcune decine di migliaia in Liguria, milioni in tutta Italia.

È un lusso che il Paese non si può permettere. Si domanda: lo Stato dove li prende tutti i soldi che servirebbero per i finanziamenti a fondo perduto? Un governo, qualunque colore politico abbia, è lì apposta per deciderlo. Sono certo, invece, che non vale la regola del "costa troppo, quindi non si può fare". Il prezzo sociale di far crollare una parte così importante della nostra economia sarebbe ben più alto: nel "dare-avere" la scelta peggiore, anche per i nostri conti, sarebbe non ricorrere al "fondo perduto". Che, appunto, non sarebbe perduto affatto.

Oh, sia chiaro, senza le stupidaggini di sospendere le regole antimafia e anticorruzione: quelle ci sono e restano. Massima attenzione, anzi, sia ai criminali sia ai furbetti di queste circostanze: ma basterà coinvolgere il territorio, cioè i Comuni e, ove necessario, i Municipi, per centrare l'obiettivo in modo indolore. Quando le dimensioni si restringono, tutti sanno tutto di tutti: quindi anche chi è onesto per ricevere del denaro pubblico e chi no. Inoltre, e non secondariamente, meno burocrazia, quasi burocrazia-zero: al contrario di quanto sta avvenendo adesso, soprattutto nei rapporti fra le imprese e le banche.

In questa grande operazione di salvataggio e rinascita, il ruolo principale dovrebbe averlo l'Europa. È ancora presto per giudicare davvero gli esiti dell'ultimo vertice: i recovery bond sono un fatto epocale rispetto al passato, perché rompono il tabù di un indebitamento garantito a livello collettivo (che riguarda solo il futuro e non, per essere chiari, il nostro enorme debito maturato fin qui). Ma se questi recovery bond non si realizzano subito, attraverso il soprastante recovery fund (in cui dovrebbe confluire la contribuzione di tutti i Paesi membri dell'Ue), e se non viene prevista la clausola del fondo perduto, allora di epocale ci sarà ben poco. Anzi, niente. E dopo le vittime del coronavirus, il cui conteggio purtroppo non si è certo fermato, dovremo anche piangere le vittime della crisi economica da coronavirus. Non è una bella prospettiva. Ma non è un destino ineluttabile.