A dieci anni dalla morte, la complessa figura di Gianni Baget Bozzo resta per molti ancora un totem da decifrare. Un intellettuale del Novecento italiano, figura di primissimo piano nel mondo ecclesiale e politico del secondo dopoguerra. Ma con una immagine schiacciata, troppo schiacciata, su alcuni aspetti dell'ultima fase della sua vita. E' stata sicuramente una delle personalità più indecifrabili della cultura italiana del secondo Novecento. Non solo il frequentatore pittoresco di dibattiti in tv condotti da Maurizio Costanzo, Giuliano Ferrara o Gad Lerner.
Nato a Savona l'8 marzo del 1925, presbitero e poi sacerdote, fin da studente di giurisprudenza iscritto alla Fuci genovese, si avvicinò al cattolicesimo politico e, alla fine della guerra, partecipò alle ultime fasi della Resistenza. Iscritto alla Dc, fa parte della componente sociale di Dossetti, La Pira e Fanfani. Collaborò in seguito con De Gasperi, Gedda e Tambroni animando, tra l'altro, le riviste 'L'ordine civile' e 'Lo Stato'. Critico degli esiti del Concilio Vaticano II, contrario prima all'apertura a sinistra della Democrazia Cristiana e poi al compromesso storico, negli anni Settanta, in funzione anticomunista, si avvicinò al Psi guidato da Bettino Craxi, nelle cui liste fu eletto per due legislature al Parlamento Europeo.
Dalla frequentazione di Craxi a quella con Berlusconi il passo fu breve perché non era convinto che fosse cosa buona consegnare l'Italia a un Pds in parte acerbo e in parte egemonico. Il disegno berlusconiano costituiva, per Baget Bozzo, una scommessa di libertà e valori per lui centrale. Quando cominciò a invecchiare venne tenuto a distanza anche da Berlusconi. Scrisse nel 1998 un manifesto culturale per la formazione politica in opuscolo: 'La cultura politica di Forza Italia. Il liberalismo popolare'. Una sorta di libro dei sogni che anticipava comunque alcune situazioni che oggi sembrano scontate.
E' morto a Genova l'8 maggio del 2009, un mese dopo il devastante terremoto che ha colpito L'Aquila. Il 21 aprile gli telefonò Berlusconi perché gli preparasse il discorso per il 25 aprile. Rispetto a ciò che aveva scritto don Baget Bozzo, il testo fu un po' 'democristianizzato' dal Cav che più volte ha sottolineato come quello fu "il più bel discorso che abbia mai fatto", con al collo il fazzoletto della Brigata Maiella. E lucidissimo è rimasto in quelle ultime settimane di vita, in cui ha scritto quattro articoli per altrettante diverse testate, quasi certamente su argomenti diversi. E invece pochi giorni dopo la comunicazione che è morto nel sonno nella sua residenza genovese. La dipartita di un intellettuale che ha saputo dialogare in ogni direzione.
politica
Baget Bozzo e la sua (complessa) memoria a dieci anni dalla scomparsa
Un intellettuale del Novecento italiano
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