cronaca

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Dobbiamo abituarci: da ora in avanti si parlerà meno del ponte, di quello che non c’è più e della sua tragedia immane e di quello che si sta costruendo. E’ la legge delle notizie che hanno una loro vita fisiologica e che si piegano allo scorrere del tempo. Per questo bisogna tenere la guardia alta e l’attenzione viva sul grande discorso che Egle Possetti, la voce dei familiari delle 43 vittime, ha pronunciato nella cerimonia del 14 agosto, un anno dopo.


Che cosa può risarcire, anche se solo in una parte infinitesimale, la terribile perdita di quelle 43 vite, spezzate solo per il fatto che si trovavano a quell’ora in quel punto in quei 200 metri del ponte, non un metro più avanti, non un metro più indietro, lì sotto quel diluvio alle 11,34; 11,35; 11,36 del 14 agosto 2018? Solo la verità e la giustizia possono dare una mano a chi - usiamo sempre le parole di Egle Possetti - si trova a scalare la montagna del dolore, della disperazione per una perdita tanto assurda dei propri cari: una autostrada che sprofonda sotto le ruote della tua automobile, del tuo furgone, del tuo autocarro.

Si parlerà meno della tragedia del ponte perché la data della sciagura si allontana, perché è più facile comunicare lo strazio dei primi tempi, la demolizione pezzo per pezzo, esplosione per esplosione, le polemiche urgenti del disastro, la discussione sulla concessione da stracciare, i racconti degli sfollati, che non l’operoso e silenzioso lavoro di chi ricostruisce.  L’attenzione dei mezzi di comunicazione nazionale si ridurrà necessariamente, le passerelle del governo cambieranno, anche perché forse ci sarà un altro governo, che non ha vissuto direttamente la tragedia e, quindi, non avrà la stessa emotività nel seguirla.

Ma la ricerca della verità e della giustizia, anzi, dovranno diventare più insistenti, più febbrili, perché il tempo non allontani, insieme a quella attenzione generale, l’esercizio di un diritto sacrosanto: sapere perché è successo, sapere chi è colpevole. Bisogna avere fiducia nella giustizia, ma anche nella sua efficienza, nella sua rapidità, nel tempo in cui va esercitata.
Non è caduto per una fatalità - ha detto nel giorno dell’anniversario il capo della Procura della Repubblica Francesco Cozzi. Quel ponte è caduto perché non poteva stare più in piedi - aveva già detto alla vigilia.


E allora mentre l’impalcato di quello nuovo, studiato dal genio di Renzo Piano e realizzato da tante competenze anche genovesi, sale a scintillare nella valle dei tanti dolori bisogna che anche la verità di quella tragedia “salga” dal processo, perché si faccia giustizia, perché non si ripeta più. Come ha chiesto con la voce di tutti, non solo quella dei parenti delle vittime,dei danneggiati, dei sofferenti in ogni modo per la sciagura, Egle Possetti.