Entro a piedi più o meno uniti nel dibattito aperto dalla provocazione di Maurizio Rossi sulla sua coincidenza di vedute con i 5 Stelle a proposito di Gronda e Tav: due grandi opere da non fare assolutamente, lasciando la precedenza ad altre urgenze e ad altri orizzonti.
Tengo conto anche delle osservazioni di Mario Paternostro, che giudica giusta la provocazione, anzi benedice il coraggio di lanciarla in questa città anestetizzata, rassegnata anche agli automatismi dialettici.
La Tav e la Gronda sono, invece, per me essenziali, opere chiave del futuro e metterle in discussione, anche con ragionamenti tecnici precisi (il fallimento dei vecchi corridoi europei per la Torino Lione, l' eternità da affrontare per i lavori della supertangenziale genovese), significa uscire completamente da una vera prospettiva di sviluppo. Significa negare che a Genova oggi si possa traguardare un orizzonte largo, che vada oltre al bla bla infrastrutturale nel quale siamo impantanati da decenni.
Se non si possiede questa visione prospettica ci si isola e si accetta che quell'orizzonte si restringa aderendo alla visione dei pentastellati, decrescita felice, riduzione di relazioni di ogni tipo, restringimento alla sopravvivenza sociale con il reddito di cittadinanza, chiusura netta verso un sistema di vita oramai universalizzato, con i negozi e tutti gli esercizi commerciali sbarrati la domenica e via andare seguendo i programmi a Cinque Stelle.
Se non avessimo avuto visioni prospettiche prima della guerra e anche in pieno fascismo non avremmo costruito la Camionale Genova_Serravalle a colpi di piccone e pala, così come non avremmo osato collegare con la ferrovia, nella seconda parte dell'Ottocento, le città liguri.
Se non avessero avuto visioni prospettiche e coraggiose gli italiani negli anni Sessanta non avrbbero costruito in cinque anni l'Autostradaa del Sole, che dovette apparire come una cattedrale nel deserto per poche macchine e pochi camion. Allora non c'erano le analisi costi e benefici. C'era, appunto, la visione del futuro.
Ogni opera pubblica non può essre misurata con i parametri dell'attualità e neppure con le sue statiche previsioni. Prima dell' Autostrada del Sole era previsto un tale boom automobilistico? E chi avrebbe immaginato, nella Liguria del Dopoguerra, che le autostrade avrebbero tolto dall'isolamento la nostra Regione, sparando il boom turistico?
Oggi questi calcoli sono più facili per molte ragioni e allora si preferisce impiombarsi con altri ragionamenti, scegliendo orizzonti chiusi, in una dimensione stretta dei nostri confini, dei nostri rapporti trasnazionali di qualsiasi natura, da quelli commerciali, a quelli infrastrutturali, perfino a quelli culturali.
Non è un caso che l'Europa sia in una tale tempesta di identità, tra sovranismi scatenati e strappi interni e mancate strategie comuni di fronte a fenomeni epocali e biblici: dall'emigrazione al rovesciamento degli equilibri Est-Ovest nel pianeta.
Ma torniamo a casa nostra e alla Gronda e alla Tav. La città non ne discute o scappa o da per scontato che si facciano o che altri decidano perchè siamo oramai incapaci di affrontare un dibattito serio: siamo, appunto anestetizzati. Ci accontentiamo delle mediazioni al ribasso per cui il Terzo Valico va avanti, non potendo il governo polverizzare almeno 6 miliardi già investiti e in parte spesi.
Senza più ideologie e partiti, che ne trasmettano i principi, ci affidiamo programmativamente o ai “Contratti”, come quello del Governo giallo-verde o alle “vision”, come quella volontaristica di Bucci per Genova.
Ma ciò non basta, non è sufficiente a affrontare quelli che una volta avremmo chiamato “i nodi dello sviluppo” e ora non sappiamo più neppure mettere in fila, addormentati come siamo.
Ben vengano allora le provocazioni e i diversi pareri, ma a patto che non siano un'altra dose di anestetico.
cronaca
Tav e Gronda un dibattito amaro tra anestesia e provocazione
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