"Al settanta per cento la nostra maggioranza è riconducibile al centrodestra". In un sussulto di sincerità, il sindaco Alberto Biancheri ammette che il rimpasto della giunta comunale di Sanremo che ha imposto nasce dalla volontà di riallinearla politicamente con la Regione Liguria a trazione "totiana".
Del resto, l'amministrazione che annoverava i giubilati Leandro Faraldi (vicesindaco Pd) e Daniela Cassini (lista civica di sinistra-sinistra) nasceva da un accordo che pareva scolpito sulla pietra con l'allora governatore Claudio Burlando e con la sua "delfina" Raffaella Paita, poi clamorosamente sconfitta da Toti.
Un evento, le regionali del 2015, che da subito hanno spinto Biancheri a guardare al suo futuro. Ci ha gironzolato intorno, poi si è inventato questo rimpasto di metà mandato che "vuole significare un forte rilancio della componente civica dell'amministrazione" dice il sindaco. Ma, in realtà, somiglia tanto a un'operazione di opportunismo che traguarda il voto comunale del 2019.
Al di là di ogni considerazione etica a proposito di un siffatto comportamento, il punto è: ha senso il riallineamento imposto da Biancheri quando una giunta comunale deve occuparsi non di politica, bensì di risolvere i problemi dei cittadini? Bisogna rispondere sì qualora gli assessori fatti fuori vengano bocciati per il loro operato e questa bocciatura sia conclamata anche nelle dichiarazioni pubbliche del sindaco.
Biancheri, invece, non ha detto una parola su questo punto. Anzi, nel pur caotico quadro delle spiegazioni-non spiegazioni ha sostanzialmente promosso sia Faraldi sia Cassini. Di più: il sindaco è pronto a riciclare i due giubilati con poltrone di prestigio e di vertice nell'ambito delle società comunali partecipate. Dunque: o Faraldi e Cassini come gestori non valgono una cicca, e quindi non si capisce perché dovrebbero "meritare" altri incarichi che costerebbero nuovi danni alla comunità sanremese, oppure Faraldi e Cassini sono stati sacrificati per stingere politicamente il "rosso" della giunta sanremese.
E allora bisogna rispondere che no, Biancheri non aveva alcun diritto di riallineare politicamente l'amministrazione civica allo scenario ligure e genovese. Poteva riallineare se stesso, pagando l'eventuale dazio di un suo riavvicinamento al centrodestra. Ammesso e non concesso che qualcuno gli presentasse subito il conto.
L'altra faccia di tutta questa storia, infatti, è l'incredibile sudditanza del Pd. Il novanta per cento del gruppo consiliare e del partito sanremese ha badato alle poltrone più che al resto. E Il Pd a livello provinciale e regionale alla fine non ha mosso un dito. La spiegazione: non esistevano margini di manovra. Vero, anzi verissimo. Ma un partito che si rispetti e voglia farsi rispettare, di fronte a un simile "giochetto" dovrebbe avere la dignità di una scelta radicale: il gruppo consiliare faccia quel che vuole, ma non farà più parte del Pd. Questa posizione non è risuonata neppure come minaccia o come foglia di fico almeno per fare finta di essersi incazzati. Niente di niente.
Ora siamo tutti curiosi di vedere che cosa decideranno Faraldi e Cassini. Un vecchio adagio popolare recita che "se non sono buono per il re, non lo sono neanche per le regina". È un richiamo al l'orgoglio e alla dignità personali. Gli assessori giubilati ne avranno abbastanza per rifiutare le offerte del loro carnefice politico oppure rimarranno vittime della sindrome di Stoccolma? Sarebbe l'ennesima vittoria della poltronite, che non significa oziare...
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A Sanremo il sindaco impone la svolta e la politica batte l'amministrazione
Biancheri sconfessa l'asse con Burlando-Paita e col Pd
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