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Sono scappati anche abitanti, operai e cervelli
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Perchè Genova è diventata una città in fuga? Ora se ne vanno anche gli elettori che nel primo turno delle comunali ci hanno fatto battere il record di diserzione dalle urne. Ha votato il 48,3 per cento. Mai successo a queste latitudini. E già siamo qua a prevedere il patatrac del ballottaggio: chi catastroficamente immagina un 32 per cento, chi non si spinge oltre il 38.

Il sindaco sarà eletto, alla fine, da un pugno di cittadini, una minoranza. Ma prima degli elettori se ne sono andati, in questi decenni, i cittadini stessi, se siamo scesi dai circa 850 mila di inizio anni Settanta ai 550 mila di oggi. E se ne sono andati gli operai, non certo perchè lo volevano, ma perchè l'architrave della industria si è spezzato nell'era postfordista. E ne abbiamo perse decine e decine di migliaia. Non li hanno sostituiti quelli che all'epoca del crack industriale chiamavamo colletti bianchi, perchè intanto erano cominciate le altre fughe, quella dei cervelli che non avevano più le aziende e gli studi professionali per restare al livello auspicato e l'IIT era ancora da venire.

Sopratutto hanno incominciato, e pesantemente seguito, ad andarsene i giovani che avevano la possibilità di farlo, perchè qui mancava il lavoro ed anche la possibilità di sceglierlo, di trovarne uno che ti mantenesse in competizione con il mondo e che non fosse solo per la sopravvivenza o per accontentarsi. C'è un numero, non verificato, perchè è difficile farlo che porta a 150 mila i giovani genovesi laureati o diplomati che hanno preso l'autostrada, il treno o l'aereo negli ultimi due decenni. E i genovesi che fanno fortuna altrove sono oramai ovunque. Chi avrebbe mai detto che, per esempio, a Singapore c'è una “enclave” al pesto di ragazzi partiti dalla Lanterna? A volte tornano, molto più spesso no e i tempi di “ma se ghe pensu”, anche se l'hanno pure tradotta in inglese, sono oramai passati.

Di tutte queste fughe con pochi ritorni, oggi quella che fa più discutere è ovviamente quella dal voto, che è comune al mondo e all'Italia, ma che qui a Genova ha avuto un'impennata molto forte e significativa. Non è solo la crisi dei valori democratici, la caduta delle ideologie oramai stradatata, la polverizzazione del senso di appartenenza, la crisi verticale del concetto di rappresentanza. Queste spiegazioni vanno bene ovunque, almeno nel nostro mondo europeo e occidentale.

A Genova è successo qualcosa di più, uno strappo, una delusione aggiuntiva. Bisogna capirlo e reagire. E questo compito tocca prima di tutto ai due contendenti del ballottaggio di domenica prossima, Gianni Crivello e Marco Bucci. Se vogliono governare questa città “in fuga” da se stessa devono avere gli antidoti o per lo meno le idee chiare e capire cosa va fatto per rendere la città attrattiva e non respingente. E non possono cavarsela con uno slogan.