cronaca

Il disastro pugliese e decenni di ritardi. Il caso Ventimiglia-Genova
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Oltre 12.000 chilometri a binario unico, la gran parte (più di 9.000) gestiti dallo Stato attraverso Rete ferroviaria italiana (Rfi) e per il resto affidate alle Regioni. Con qualche eccezione, come la Ferrotramviaria di Bari, tuttora in mano a un privato, la famiglia Pasquini.

La tragedia dello scontro fra i treni in Puglia, con 27 vittime accertate e decine di feriti gravi, si inserisce in questo contesto. Un Paese la cui arretratezza nei collegamenti su ferro è conclamata dalle cifre e rappresenta un incubo per milioni di pendolari ogni giorno.

Già di per sè il binario unico è elemento di sicurezza limitata. Se, poi, aggiungiamo il fatto che certi standard sono essenzialmente prerogativa di Rfi, come dimostra la vicenda pugliese, ecco emergere un primo, drammatico elemento con il quale gli italiani devono convivere quotidianamente. Nel primo caso, i sistemi sono tre: l'Ertms (European rail traffic management system), l'Scmt (Sistema di controllo marcia treno) e l'Ssc (Sistema di supporto alla condotta). Tutti hanno la prerogativa di arrestare la marcia del convoglio anche se il macchinista non si adegua alle segnalazioni/indicazioni ricevute.

Nel caso dell'Ermts parliamo di un meccanismo tecnologicamente assai evoluto, non a caso utilizzato per l'alta velocità, i cui natali sono genovesi: l'azienda leader mondiale, infatti, è Ansaldo Sts, storicamente in mano a Finmeccanica (nel frattempo divenuta Leonardo) ma ora passata ai giapponesi di Hitachi. Un altro pezzo di know-how di cui il nostro Paese si è incredibilmente disfatto, nel totale disinteresse del governo e per mano, paradossalmente, dell'ex capo delle Ferrovie, Mauro Moretti, oggi al timone di Finmeccanica-Leonardo.

La tragedia di Bari ha riproposto con il suo tributo di sangue la questione della sicurezza, che nel caso specifico rimane ancorata all'utilizzo di un sistema vetusto come le comunicazioni telefoniche, e anche quella dell'incapacità del nostro Paese di far viaggiare gli investimenti di pari passo con la realizzazione delle opere.

Nella tratta interessata dal disastro i lavori sono in corso, anche se emerge la beffa di finanziamenti inspiegabilmente ancora inutilizzati. Ma quando si parla di binario unico, il pensiero non può non correre, per noi liguri, alle condizioni in cui versa la linea Ventimiglia-Genova, che è pure un collegamento internazionale con la Francia e il resto d'Europa.

Nel gennaio di due anni or sono anche lì si sfiorò la tragedia. Una frana abbattutasi sulla linea ad Andora provocò il deragliamento di un Intercityt, che miracolosamente non volò nella sottostante scarpata e quindi in mare. Storia diversa, certo, non riconducibile al binario unico di per se' né agli standard di sicurezza, che sono quelli moderni utilizzati da Rfi.

Difficile, però, non considerare che quella frana, se il raddoppio fosse stato realizzato, non si sarebbe abbattuta sulle rotaie e nessuno avrebbe corso il benché minimo pericolo.

La situazione, invece, è ancora lì, uguale a se stessa. A fine dicembre potrebbe entrare in esercizio un altro pezzo di raddoppio, quello fra San Lorenzo al Mare e Andora appunto, però mancherà ancora la tratta Andora-Finale Ligure. Che al contrario della linea al centro del disastro pugliese, non può contare su un centesimo di finanziamento.

Infatti, anche i 225 milioni (in 15 anni) che erano stati stanziati dal governo sono stati infatti bloccati dal Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica) secondo il quale, come la stessa Rfi aveva avuto modo di sostenere, quella somma deve far parte dell'intero finanziamento - circa 1,5 miliardi - necessario per realizzare l'opera. La quale, fra l'altro, non può essere costruita per lotti funzionali, come fantasiosamente aveva sostenuto l'ex ministro Maurizio Lupi.

Per il completamento del raddoppio del ponente ligure, insomma, la verità è che siamo all'anno zero. E i soldi fin qui spesi per arrivare da San Lorenzo ad Andora rischiano di essere stati quasi gettati dalla finestra. La tragedia pugliese, con il suo carico di vittime e di dolore, certo non può essere paragonata alla tratta ligure, ne' ai molti altri chilometri di linea ferroviaria simili.

Ma ben si comprende il crescente timore dei liguri che utilizzano quel pezzo di ferrovia. E una riflessione seria il disastro deve provocarla, se si vuole che il tributo di quelle vite non sia stato inutile. C'è un'Italia a binario unico che aspetta di entrare nel terzo millennio, per qualità di collegamenti ferroviari. Che significa anche sicurezza di chi sui treni ci viaggia e ci lavora.