cronaca

Come cambia l'oligarchia in città: da Marta al Marchese, da Burlando a Toti /3
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“Sciu Antonio, scia e' lasce a  staccà e' cedule.......” (Signor Antonio, li lasci a staccare le cedole) disse un giorno un potente direttore generale, fedelissimo di una grande azienda famigliare genovese, al capofamiglia, al capostipite in anni d'oro nei quali già si incominciava, però, a intravvedere l'ombra di un declino, alludendo ai suoi figli, ai suoi parenti, impegnati nella “ditta”.


Il nome della famiglia e del suo capo è meglio lasciarli segreti, come quello del solerte direttore, che consigliava senza tanti giri di parole quale doveva essere l'atteggiamento verso la nuova generazione, che lui conosceva troppo bene: che si limitino a staccare le cedole, che non mettano il naso nelle scelte chiave dell'azienda.
Figli, nipoti, magari, cognati, parenti, comunque, era meglio tenerli lontani dal nocciolo del potere famigliare e lasciarli a sfruttare le rendite: quella seconda, o magari già terza generazione, non era in grado di reggere la posizione, di far stare al passo l'azienda.
La copertura del segreto potrebbe riguardare tante famiglie genovesi del Dopoguerra o anche degli anni precedenti la guerra, perché allora il cosiddetto potere famigliare era forte, influente, determinava lo sviluppo di grandi aziende che erano come la nervatura della economia genovese. Altro che Partecipazioni Statali, Iri e poi grande ombrello protettivo del parastato! I Bruzzo avevano l'acciaieria e la Società Esercizio Molini, aziende che erano molto più potenti delle nasciture Partecipazioni Statali, che producevano più acciaio delle colate para-pubbliche e gestivano enormi Silos a Genova, Livorno, Napoli e avevano nel loro capitale ben altro, come la SEM, grande azienda edile.
I Dufour delle leggendarie caramelle contavano in azienda addirittura 49 membri della famiglia, impegnati a amministrarne i diversi rami. E dei leggendari Costa di olio e navi sappiamo bene come era organizzata l'azienda su un grande schema famigliare, che avrebbe retto fino agli anni Ottanta del Novecento.

IL GOTHA INDUSTRIALE
Se si tirano fuori dai cassetti le foto un po' ingiallite dei giorni in cui si riuniva l'annuale Assemblea dell'Associazione degli Industriali, nel salone d'onore di via Garibaldi 6, dove oggi c'è il salotto del Circolo Tunnel, si possono  strabuzzare gli occhi non solo per l'impressionante affollamento nelle sedie stile  XVI e XVII secolo, che stipavano la sala davanti al tavolo della presidenza, spalle al caminetto, dietro la stanza del Palazzo Doria , con i soffitti affrescati da Bernardo Strozzi.
Lì c'era, anno per anno, il Gotha di una delle imprenditorie più pimpanti del Paese: quell’ Associazione era la terza in Italia per numero di iscritti e quantità di contributi versati e riuniva vere e proprie dinastie che sembravano immortali. Dopo le tempeste della guerra e del pesantissimo dopoguerra della trasformazione industriale, su quelle sedie era rappresentato il fior fiore del capitalismo imprenditoriale genovese e spesso ligure, che abbracciava tanti settori della produzione di beni e servizi.
Lasciamo stare la copiosa genia degli armatori di navi, che spesso partecipava anche all'Assemblea degli Industriali e non si riuniva certo solo in Confitarma a contare le proprie flotte, dai Costa stessi, ai Ravano, ai Corrado, ai Bibolini, ai Fassio, ai Cameli, vera fucina di tanti grandi futuri personaggi del settore, Paolo Mantovani stesso,  Alcide Rosina, Regis Milano e scusateci per quelli che si dimenticano. Sono passati tutti attraverso quella scuola.


Vale solo la testimonianza di un grande di oggi, Lorenzo Banchero,  notissimo broker di traffici navali e di assicurazioni, che racconta come da giovane, anzi giovanissimo,  impegnasse giornate intere e tante corse di tram, autobus e taxi per andare a trovare nei propri uffici ogni singolo armatore, le cui sedi erano disseminate per la città.
Ma nella foto ingiallita  spiccavano ancora i Piaggio della Miralanza, della Sermide, ma anche della Vespa e degli Aerei: Rinaldo, Armando, Rocco e Andrea Mario, i Piero Campanella dei Cantieri navali e delle Riparazioni, appunto i Dufour delle caramelle, i Vaccari delle piastrelle, i Boero, Brignola e Oliva dei grandi colorifici, i Lo Faro dei saponi, i Bocciardo delle concerie,  con i loro concorrenti situati sui bordi dei torrenti-fiumi genovesi Bisagno e Polcevera, i titolari delle cartiere dell'entroterra di Voltri  e via  andare con gli altri settori di un'economia molto ramificata.


 LA POTENZA DEGLI EDILI
Un po' a parte rispetto all'Associazione rifulgeva la solida potenza degli edili, che avrebbero avuto complicati rapporti nella Associazione Industriali, prima incardinati, poi separati, poi di nuovo inglobati. E poi c'erano i raffinatori e i petrolieri, come Edoardo Garrone I, i Moro degli olii, i Bozzo del caffè, come i grandi traders, che stavano conquistando i mercati del mondo, uno su tutti, Jack Clerici, con il suo baffo prepotente e i primi business con l'Urss di Breznev e Nikita Krusciov, ma anche i Cauvin di ramo francese e grande espansione zeneize.


 L'aristocrazia famigliare comprendeva ovviamente i “padroni” degli acquedotti privati il “De Ferrari-Galliera” dei Parodi e delle famiglie consociate come gli Anfossi. Giamba Parodi era allora giovane erede di un patrimonio che teneva insieme le ancestrali eredità bancarie con gli acquedotti della storia genovese e le imprese di costruzione, Parodi-De Rege, in una “crème de la crème” che comprendeva anche i GardellaTraversa e i Perri di Carena, che insieme a Attilio Viziano personificavano, con le loro cariche nazionali dell'Ance e della proprietà edilizia, un ruolo forte in quel mondo cui si doveva, con tanti altri nomi di ditte e impresari,  la colossale operazione urbanistico-edilizia, la ricostruzione fisica della città, dagli anni Cinquanta in avanti, quella che oggi, molto a posteriori, suscita tante critiche, ma anche rimpianti.


La nostalgia per le foto non basta a spiegare cosa è successo dopo a quella imponente parata di capitalismo prevalentemente famigliare, a quella nervatura di un'economia forte, tradizionale, la colonna portante dell'orgoglio di tante primogeniture. 
Bisogna andare a sondare un po' i percorsi storici e anche quelli della cronaca per scoprire come si è arrivati a quella che oggi Stefano Zara, già presidente dell'Associazione Industriali, ma prima potente manager Iri e poi anche imprenditore privato e perfino deputato al Parlamento e oggi uno dei pochi saggi della città, chiama “la mutazione genetica” dell'industria e del suo humus a Genova.


CHI STACCAVA CEDOLE
Bisogna, forse, ripartire anche dalla battuta in stretto genovese sul compito riduttivo da affidare alle ultime generazioni, di staccare cedole, per spiegare il progressivo declino?
La battuta è tale e riguarda solo una parte di quel vecchio establishment  scomparso, polverizzato dalla mutazione genetica, ma anche dalle trasformazioni storiche di un'economia che a partire dagli anni Sessanta si era come acquattata sotto il potente e sempre più largo ombrello dell'Iri delle cavalcanti Partecipazioni Statali, Italsider, Ansaldo, Italimpianti, Italcantieri, in tutte le loro declinazioni societarie, infinite e ramificate con gli stabilimenti lungo la costa  e nelle vallate del Polcevera e del Bisagno.
In pochi hanno provato a scuotere l'assetto generazionale, incartapecorito nella mutazione genetica ma anche nel dissanguamento delle proprie vene. Negli anni Ottanta uno “straniero” tra i pochi capaci a inserirsi in quell'establishment paralizzato dal trascorrere del tempo, Guido Albertelli, amministratore delegato di Ip, romano, aveva scosso l'albero, organizzando incontri e convegni puntati proprio sul ricambio generazionale. Aveva, da vero leader e da sensibile studioso dei tempi genovesi, convocato generazione per generazione i possibili leader per invitarli a un'alleanza che facesse progredire programmi di sviluppo. Sforzo inutile. Quei tentativi, non certo per responsabilità del loro regista, si trasformarono in passerelle ahimè fini a se stesse, ma almeno misero le famiglie davanti alla loro responsabilità.

(3a parte- continua)
Nella foto da sinistra Riccardo Garrone, Angelo Costa e Paolo Mantovani