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I dettagli sui rilievi tecnici del Consiglio di Stato
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A dispetto di annunci e tweet ministeriali che si inseguono da mesi, è ancora in alto mare il varo del regolamento sulle concessioni portuali. Al provvedimento, atteso da 22 anni, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha cominciato a metter le mani dopo che, sul finire dell’estate, l’allora presidente dell’Autorità Portuale Luigi Merlo decise di chiedere lumi a Roma, a seguito della posizione presa dal senatore Maurizio Rossi in Commissione Ottava ad agosto 2015 contro le proroghe ultradecennali senza gara, prima di procedere a trattare le richieste su alcune delle concessioni in essere a Genova.

Dopo mesi di dibattito e di passaggi istituzionali più o meno ufficiali, il Ministro Delrio ancora la scorsa settimana aveva dato per imminente il decreto, ma un paio di giorni fa il Consiglio di Stato ha pubblicato sul proprio sito la valutazione effettuata sullo “Schema di decreto recante la disciplina di affidamento in concessione di aree e banchine”, dando un “parere interlocutorio” che costringerà il Ministero a tornare al lavoro. Anche perché i rilievi e le perplessità sollevate dai giudici amministrativi sono numerose e afferenti anche aspetti centrali della materia. 

Premesso che il Ministero non ha mai reso noto il testo in esame, di cui circola ufficiosamente solo una bozza risalente però all’autunno, il caso più evidente sembra riguardare quello delle proroghe e la dicotomia fra “procedure di gara” e “procedure ad evidenza pubblica”. Ovviamente, secondo i giudici, anche “nelle more dell’emanazione del Regolamento di attuazione dell’articolo 18, poteva quantomeno recarsi in dubbio la legittimità dell’utilizzo di una procedura di rinnovo senza istruttoria”, cosa che, seppure non vengano menzionati casi specifici, è evidentemente avvenuta.

Ma i togati vanno oltre, perché, scrivono, “non appare soddisfacente neppure la richiamata procedura ad evidenza pubblica”. Che è il metodo “di attuale usuale utilizzo”: è quello seguito ad esempio a Trieste, Livorno o La Spezia, dove, prima di assentire rinnovi ultradecennali, furono pubblicati in Albo Pretorio i relativi avvisi.

E metodo che, cosa più preoccupante per il Consiglio di Stato, “pure continua ad essere richiamato nel testo sottoposto a parere”, sebbene “la distanza dal procedimento di gara sia evidente: detta procedura (cosiddetto avviso ad opponendum) garantisce sì la pubblicità e visibilità dell’azione amministrativa, ma non limita minimamente la discrezionalità dell’ente pubblico, stante l’assenza di un bando e la mancata predeterminazione di criteri di selezione delle domande”.

Il Consiglio di Stato, cioè, vorrebbe che, sia nel caso di nuove concessioni che in quello di rinnovi, fossero previste comunque procedure di gara propriamente dette, basate su criteri oggettivi e non discrezionali: “La procedura, in corso, finalmente, di definizione, per la selezione del concessionario dovrebbe tendere ad una normalizzazione dei margini di discrezionalità, acquisendo le caratteristiche effettive della procedura di gara, ove la più proficua utilizzazione del bene è definita sulla base di criteri obiettivi”.

Non è tutto, perché il Consiglio evidenzia osservazioni puntuali su ben 7 dei 15 articoli di cui si compone lo schema di decreto. Si tratta di aspetti molto tecnici, ma vale la pena rilevare quantomeno “le non poche perplessità” che i giudici esprimono riguardo il fatto che il provvedimento non indichi “i criteri per il calcolo dei canoni demaniali minimi”. Il che, per il Consiglio di Stato, ne fa “un testo non completo”, la cui adozione rischierebbe “di far ulteriormente procrastinare il perfezionamento dell’opera di attuazione meritevolmente avviata”. Insomma, il lavoro da fare per Delrio è ancora molto.