spettacoli

A tu per tu con Fatt Mc: "Per avere successo raccontare storie vere"
2 minuti e 47 secondi di lettura
Una storia che parla di rap e non solo, una vicenda che ha molto di reale, un cast che ha tanta Liguria tra i protagonisti. Da giovedì 28 aprile esce “Zeta”, il film che racconta l’universo dei rapper italiani con la presenza di stelle e astri nascenti. Perché insieme a J-Ax, Fedez, Clementino e Rocco Hunt ci sarà anche Christian Sciuva, meglio noto come Fatt Mc, direttamente da Cairo Montenotte, cresciuto a Savona e genovese d’adozione.

Si racconta a Primocanale: “Io farò la parte del cattivo-antagonista, in buona parte interpreto me stesso. Ma molti personaggi interpretano ruoli che hanno molto a che fare con se stessi”. Il vero protagonista sarà Diego Germini, in arte Izi, “anche la sua è una storia quasi reale”. Il regista Cosimo Alemà sceglie così di dar voce a un mondo ancora molto ‘underground’ attraverso i suoi veri protagonisti. Un mondo che, un po’ a sorpresa, ha tanto di ligure e genovese.

“Perché Genova? Beh, esistono i quartieri, ognuno diverso dall’altro. Ci sono differenze etniche, si parlano mille lingue in pochi chilometri, il porto ci fa avere una mentalità aperta. Ogni quartiere è un piccolo paese, c’è il matto, la leggenda, ognuno trova il modo di raccontare la sua storia”, racconta Fatt Mc. Che, del resto, è stato campione italiano di free-style, una delle specialità interna al genere. Prima di lui Moreno, tanto per capirci.

A Genova ci è arrivato scendendo dalla Valbormida. “Sono nato a Cairo Montenotte, un comune di 15mila anime. Poi a Savona ho frequentato il liceo artistico, ho iniziato a farmi conoscere. Ma in paese sembravo un alieno”. Un crescendo per arrivare all’esperienza di ‘Urban Dojo’, un’etichetta indipendente fondata da Marco Ravenna e Shady, che si propone di valorizzare i giovani. E intanto è boom di rapper. “È sempre stata una forma d’arte con un grandissimo potenzial. Quando la tv e la radio hanno cominciato a parlarne, è diventato come il calciatore. I ragazzini sognano di farlo, è giusto così”.

Un sogno che lui ha rincorso coi piedi ben piantati a terra. Perché la passione, pian piano, sta diventando un lavoro. “Praticamente non ho mai fatto altro, ho dedicato tutta la mia vita a questo. Con Facebook, YouTube e i vari social network ognuno può sposnsorizzare se stesso. D’altra parte ci sono persone convinte di essere grandi rivelazioni, ma se il tuo video non piace a tanta gente c’è qualcosa che non va”.

Ma è proprio vero che il rap parla solo di disagio? “Il rap è una forma di espressione, racconta ciò che tu gli vuoi far raccontare. Non ha senso scervellarsi, se una cosa è vera è destinata a durare. È sbagliato credere che racconti solo disagio, l’importante è che sia una storia vera. È per questo che i rapper americani iniziano a parlare di sparatorie nei ghetti e poi di hotel sfarzosi. È quello che hanno vissuto. Anch’io ho cominciato nei garage”. Un mondo da scoprire. E “Zeta” può essere una buona occasione per capirne qualcosa di più.