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Dopo le primarie di Milano e in vista del voto a primavera
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È finita come ci si attendeva: vince Giuseppe Sala, perde la genovese Francesca Balzani e il Pd ripiomba in pieno psicodramma da primarie. Con il condimento di dubbi e sospetti sul tesseramento, in Sicilia come a Sarzana.

Se mai ce ne fosse stato bisogno, l'esercizio di democrazia messo in campo dai Dem ripercorre l'antico sentiero di una democrazia che in realtà è pesantemente inquinata. Da presenze sconcertanti e, in alcuni casi, persino inquietanti.

A Milano Giuseppe Sala fa il pieno di consensi e sappiamo tutti che non rispondono completamente a un'adesione ideale.
Se Chinatown si mobilita per l'ex commissario dell'Expo, più di qualcosa continua a non funzionare nel meccanismo delle primarie Pd.

Un film già visto in Liguria, quando Raffaella Paita sgominò Sergio Cofferati imbarcando ogni sorta di voto. Poi, al momento delle elezioni vere, sia Paita sia il partito hanno pagato dazio. Clamorosamente battuti da Giovanni Toti e dal centrodestra unito.

Si dice che nel capoluogo lombardo può essersi ripetuto lo scempio di primarie un po' così, ma che non potrà rinnovarsi il nefasto finale alla ligure.
Tanto per rimanere a Milano, alzi la mano chi avrebbe scommesso che all'ultimo minuto il Carpi avrebbe pareggiato contro l'Inter giocando con un uomo in meno. Attenzione, quindi: tutto è ancora possibile.

Lo è, in particolare, di fronte un Pd che schiera (malvolentieri) il suo capace vicesindaco Balzani, donna e con gli attributi secondo il migliore spirito che dovrebbe essere renziano, e trova il modo di bruciarlo, insieme con il buon lavoro svolto dalla giunta guidata da Giuliano Pisapia.

Un irrefrenabile cupio dissolvi? In realtà la partita che ha come epicentri Milano, Roma e Napoli riguarda anche il futuro assetto del Pd.
Matteo Renzi, il suo leader, ha un sogno: farne il contenitore di un consenso vasto e trasversale, stile vecchia Dc. Sala e il suo serbatoio elettorale, che va dal centro a destra (fu city manager di Letizia Moratti, qualcosa vorrà pur dire) ne costituisce il prodromo perfetto. Perché porta a casa quei voti lì, ma indossando la casacca del centrosinistra. Renzi lo dice esplicitamente: "Chi fa lo schifiltoso, poi perde". Della serie: come il denaro, anche i voti non hanno odore.

La stessa logica, peraltro, si riproduce in queste ore con la migrazione dei cuffariani (da Totò Cuffaro, il governatore "vasca vasa" finito in galera per collusioni mafiose) che in Sicilia si stanno spostando in blocco nel Pd, diventato il barcone della speranza politica per i dannati dell'ex Dc e poi Udc. Chissà chi paga, e come, il biglietto.

Non diversa la storia dei 300 neo tesserati a Sarzana. Trecento, né giovani né forti verrebbe da dire, che si preparano a colonizzare il Pd ligure per consentire poi l'assalto alla segreteria regionale. Ruolo decisivo, in vista delle elezioni comunali a Genova del prossimo anno, e sul quale ha messo gli occhi l'ex governatore Claudio Burlando. Magari non per se', ma per qualche uomo (o donna) fidato. Che intanto potrebbe scaldare i motori cominciando a pesare nella competizione di primavera a Savona.

Anche qui non ci si discosta dal disegno più generale di Renzi.
Ed è su questo che Burlando punta, cercando di portare a casa quanti più consensi possibili, dopo le prove generali fatte alle primarie per le regionali, avendo nel mirino non una cadrega ligure, bensì la comoda poltrona di un incarico nazionale.

C'è chi ritiene che il progetto renziano abbia anche un nome: Partito della Nazione. Io, invece, credo al segretario e premier quando dice che non è vero. Perché il Pd gli basta e gli avanza. Lui va avanti per la sua strada, sono gli oppositori a lasciargli spazio. Pierluigi Bersani ulula da mesi, ma al confronto Capitan Tentenna è un decisionista. E così gli altri.

Occhio, però. A Milano Sala prende il 42 per cento anziché l'atteso 45, ma se sommiamo Balzani (34%) e il terzo classificato Pierfrancesco Majorino (23%) si arriva al 57%. Centro e sinistra divisi e dunque perdenti, però maggioritari.

Renzi, allora, si faccia bene i conti e ricordi che un partito, come una buona squadra di calcio, ha bisogno dei suoi equilibri. Il suo Pd sta giocando la partita tutta al centro e a destra. Ma nessuno, fra i renziani più o meno doc, copre la fascia sinistra. E il giorno che i suoi avversari non dovessero più dividersi, il gol potrebbe subirlo da lì. Anzi, sarebbe un autogol.